ISSN 2281-521X
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ACCADEMIA DEGLI EUTELETI SELLA CITTÀ DI SAN MINIATO AL TEDESCO
BOLLETTINO N. 89
in sovraccoperta: Corrispondenze, Senza titolo#14, 2021 Luca Lupi
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AZIONI@NSSAWOI RISPARMIO DI SAN MINIATO
ACCADEMIA DEGLI EUTELETI
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ACCADEMIA DEGLI EUTELETI - BOLLETTINO N. 89
ANNO XCX - 2022 N. 89
BOLLETTINO
DELLA
DELLA CITTÀ DI SAN MINIATO
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Rivista di Storia — Lettere — Scienze ed Arti
Direzione ed Amministrazione Palazzo Migliorati - San Miniato al Tedesco
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La direzione del Bollettino dell’Accademia degli Euteleti esprime la sua gratitudine alla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato che, con il suo contributo, sostiene la pubblicazione del presente volume.
Con il contributo della Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali Ministero della Cultura
BOLLETTINO
DELLA
DELLA CITTÀ DI SAN MINIATO
Rivista di Storia — Lettere — Scienze ed Arti
n. 89
SAN MINIATO AL TEDESCO - DICEMBRE 2022
Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato Piazza XX Settembre, 21, 56027, San Miniato (PI).
accademiacuteleti@gmail.com
Accademia fondata il 2 ottobre 1822 con Reale e Imperiale Rescritto Sovrano del Granduca di Toscana
Accademia istituita il 10 Luglio 1947 con Decreto di riconoscimento
della personalità giuridica
Decreto del Presidente della Repubblica Italiana del 10 Luglio 1947, Presidente De Nicola.
Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato n° 89/2022
Il Bollettino è edito con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato — anno 2022
L'Accademia degli Euteleti riceve il contributo della Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali del Ministero della Cultura
Comitato scientifico
Saverio Mecca, presidente
Luca Macchi
Roberta Roani
Il programma editoriale di ciascun numero della rivista è elaborato dal Comitato Scientifico che applica una procedura di selezione, valutazione e miglioramento editoriale.
La selezione degli autori avviene su invito.
Stampato in 400 copie non numerate su carta Fedrigoni Arcoset, 90 gr, usomano, di pura cellulosa ecologica
Finito di stampare a San Miniato presso la Tipografia Bongi, Via Augusto Conti 10,
San Miniato, Pisa
Progetto grafico: Saverio Mecca Fotografia sovracoperta: Luca Lupi Messa in pagina: Photochrome - Empoli
Iscritto nel Registro dei Periodici presso la Cancelleria del Tribunale di Pisa in data 2 settembre 1958, n° 11
ISSN 2281-521X Bollettino della Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato [Testo stampato]
Diritti di riproduzione 2022: Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato
Ai lettori del Bollettino
Gli effetti della crisi pandemica ancora condizionano le attività dell’Acca- demia degli Euteleti: la sede che la ospita ha delle criticità per ospitare più perso- ne, criticità che la clausura ha reso più evidenti, rendendo più difficile organizzare conferenze, incontri e mostre di arte. La pubblicazione dio Bollettino annua- le, il suo più importante contributo continua e il n° 89 è presentato e diffuso il 16 dicembre 2022.
Questo anno 2022 è il duecentesimo anno della fondazione dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato con Reale e Imperiale Rescritto Sovrano de Grida di Toscana. E in preparazione la pubblicazione di un volume che ne racconta la lunga e intensa storia e il contributo alla crescita della comunità e del territorio: un lungo lavoro di 89 bollettini per sostenere la crescita civile, cul- turale ed economica e del territorio di san Miniato e della Toscana, una missione storica dell’Accademia onorata fin dalla sua fondazione, secondo la illuminata visione dei fondatori.
È in questa prospettiva che il Bollettino n° 89 dell’anno 2022 propone un'ampia e ui selezione di articoli dei Soci e degli studiosi invitati alla collaborazione.
I contributi trattano temi di riflessione sul periodo che stiamo vivendo, sto- ria, storia dell’arte e dell’architettura in Toscana e del territorio; la qualità dei contributi lo rendono non solo uno dei più importanti bollettini delle accademie toscane, ma anche uno strumento per la costruzione della storia dei nostri luoghi.
La varietà e diversità dei li appropriata al carattere di miscellanea nel sommarsi negli anni come tessere di un mosaico compone un ritratto continua- mente arricchito del territorio di San Miniato, del Valdarno e della Toscana: una risposta alle esigenze di conoscenza critica della comunità mediante un costante impegno culturale e scientifico dell’Accademia e degli autori.
Rivolgiamo di nuovo un appello a tutti i soci, gli amici e i sostenitori dell’Ac- cademia, alle Istituzioni del territorio perché ne sostengano, anche economica- mente, le attività e le pubblicazioni a beneficio dell'intera comunità.
Un particolare ringraziamento va rivolto alla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e al Ministero della Cultura.
San Miniato, lì 16 dicembre 2022
Il Presidente dell’Accademia degli Euteleti Saverio Mecca
INDICE
MARIA FANCELLI
In margine al romanzo Le Ricorrenze di Franco Brogi Taviani
ANGELO FABRIZI L’ombra di Anna
MARZIO GABBANINI Un medaglione per don Nello Micheletti presidente dell’Accademia degli Euteleti e tra i fondatori dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato
ANGELO FABRIZI Omaggio ad Antonio Gamucci
LUCA MACCHI Considerazioni intorno ad alcune immagini che ritraggono la città di San Miniato realizzate nel tempo
SAVERIO MECCA Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
ALESSANDRO MIANI
Biofilia: un legame innato tra uomo e natura
FRANCESCO FERRINI Città “biofiliche”: sfide e opportunità nella politica della pianificazione del verde urbano
LAURA BALDINI È questa la scuola che gi Riflessioni a margine della scuola delle competenze
GIOVANNI COPPOLA La Tapisserie de Bayeux e pe alla conoscenza della Storia dell’architettura militare dell'XI secolo
LAMIA HADDA Architettura dei minareti: forme, modelli e strutture
MICHELE FEO Francesco d'Assisi, le allodole e Federico II
ROSSANO NISTRI Se hai marito fallo morire! Undici canzoni popolari dialogico-narrative raccolte a San Miniato negli ultimi tre decenni del XX secolo
MARIO BRUSCHI Donatello e la città e il territorio di Pistoia
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RICCARDO SPINELLI Documenti artistici dalle ‘Carte strozziane’ nell'Archivio di Stato di Firenze
ELISABETTA MALVALDI Mino Rosi e i dibattiti artistici in due riviste pisane del Novecento: «Una attiva partecipazione alla rinascita spirituale dell’Italia»
ROBERTA ROANI La “bella romana”. Teresa Benincampi letterata e scultrice
STEFANO RENZONI Prima del San Carlo. Antonio Niccolini: un pittore, scenografo e architetto in Toscana tra Sette e Ottocento
FABIO SOTTILI La collezione d’arte dei Ricasoli al palazzo del Ponte alla Carraia
COSTANTINO CECCANTI La fortezza di San Giovanni o da Basso a Firenze dal Seicento al Novecento
CARLOTTA LENZI IACOMELLI Spigolature biografiche sui Gricci e, infine, una data
FRANCESCA RUTA Villa Bardelli Capoquadri, Monteboro, Empoli, luogo natio di Andrea Corsali, navigatore cinquecentesco
CLAUDIA MARIA BUCELLI In scultura e paesaggio. Pietro Porcinai e Costantino Nivola a Zoagli
MICHELE FIASCHI Curiosità araldiche della Diocesi di San Miniato
FEDERICO CECCANTI 12 agosto 1825: un matrimonio a sorpresa nella villa di Montebuono presso Pistoia
FRANCESCO FIUMALBI Le giornate tutt'altro che radiose in Valdelsa e nel Medio Valdarno Inferiore nel maggio 1915
ANTONELLA BERTINI La “Grande Mostra Campionaria Nazionale” del 1907 a Empoli
ANGELO FABRIZI Pittori a San Miniato. Ugo Manaresi, Antonio Luigi Gajoni, Dilvo Lotti
CLAUDIO BISCARINI Il cavaliere della Chiecina
Vita dell’Accademia nell’anno 2022
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In margine al romanzo Le Ricorrenze di Franco Brogi Taviani
MARIA FANCELLI
La famiglia Taviani era nota in casa mia ben prima che io arrivassi a conoscere Franco e Giovanna, i figli minori dell'Avvocato e della Signora Jolanda Brogi. Quando ci siamo conosciuti, studenti del Ginnasio-Liceo ‘Virgilio’ di Empoli, i figli maggiori, Vittorio e Paolo, erano già partiti per Roma.
Se mi chiedo come e perché in casa mia si conoscesse la famiglia Taviani, la prima risposta è ovvia perché si trattava di una delle famiglie più eminenti di San Miniato. Per la quale, a dire il vero, noi avevamo una die interna: ovvero i racconti di mia zia, la maestra Aladina Fancelli che frequentava assiduamente la Direzione Didattica di San Miniato e ci informava sulla vita della città, al cui centro c'era molto spesso l’Avvocato Taviani. Ricordo solo vagamente altre figure sanminiatesi che rendevano vivi quei racconti: la maestra Paolina Neri, il geome- tra Benvenuti, la signorina Giacinta Fassetta, mentre la persona più 1: era senza dubbio, e da ogni punto di vista, il medico Ariberto Braschi che percorreva le campagne con la sua Balilla nera. Accanto a questi resoconti c'era un canale di- retto e di carattere amministrativo, perché lo zio dell’Avvocato, il ragioniere Vit- torio, amministrava gli affitti di alcune nostre proprietà. Con Giovanna e Franco avevamo molte amicizie comuni tant'è vero che quando i nostri padri morirono e per puro caso i funerali furono lo stesso giorno nel giugno del 1974, ci fu un grande andirivieni di persone amiche tra La Catena e San Miniato, e molti erano incerti a quale cerimonia partecipare. Di questa singolare coincidenza abbiamo più volte affettuosamente sorriso con Giovanna.
Ripensando con l'occasione il mio rapporto con la famiglia Taviani, devo dire che io l’ho vissuto dalla prospettiva di un borgo di pianura e di un territorio che, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, era ancora tutto agricolo, mentre si profilava ormai come inevitabile il passaggio del potere economico dalla piccola nobiltà di campagna a quello della nascente imprenditoria di pianura. Erano anni in cui le uniche industrie vicine erano quelle di Ponte a Egola (a Santa Croce esistevano da fine Ottocento), dove le conce nascevano dentro le case e le pelli si asciugavano in soffitta, e più tardi si passavano ai ciabattini di Cigoli e a Castel- franco per farne fare suola, giunte e scarpe. La legge Merli sarebbe venuta una ventina di anni dopo, nel 1976, a portare un po’ ordine e a separare la casa dalla concia. Ma nella disordinata urbanistica della frazione di Ponte a Egola questa interessante fase della storia industriale è ancora oggi leggibile nelle parti alte di numerose abitazioni.
Vista dalla pianura, negli anni del dopoguerra, San Miniato era la città delle tasse, dei preti, del vescovo e del seminario, della pretura, della piccola nobiltà di campagna e della Direzione Didattica; quest'ultima una vera costruzione kafkia-
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Maria Fancelli
na cui facevano capo tutte le maestre del Comune. Naturalmente San Miniato era anche la città scuola e aveva ancora un primato di cultura e di storia che nes- suno si sognava di contestare. A questa San Miniato abitata da ceti impiegatizi e riflessivi, apparteneva, in posizione centrale, la numerosa famiglia Taviani cir- condata da un alone di grande rispetto. L'Avvocato Ermanno, la signora Jolanda maestra, i figli Maria Grazia Vittorio Paolo Giovanna e Franco.
L'incontro con Giovanna e Franco sull’autobus che ci portava a Empoli fu in realtà un fatto tutto nostro, indipendente dalle nostre famiglie e dall’aura che circondava l’Avvocato. Molti sono i ricordi di quel periodo. Per lo più riguardano Giovanna di cui divenni amica e con la quale c'è stato a lungo un filo più dura- turo. La vita cambia e si evolve per tutti, ma feci in tempo a conoscere anche suo marito, l'ottimo scenografo Gianni Sbarra. Il cui compleanno fu festeggiato sul set di Villa Saletta alla presenza di Isabelle Huppert già in abito di velluto verde e nelle vesti di Charlotte, la protagonista de Le affinità elettive. La torta di com- pleanno era singolare: aveva la forma di una grande matita appuntita ed era stata disegnata probabilmente proprio dallo stesso Gianni. Con Giovanna seguimmo anche la scena del ‘La Notte di San Lorenzo’ in Piazza Buonaparte a San Minia- to, quella che i due registi fecero ripetere più volte per l'incapacità dell’attore di pronunciare una breve battuta con il corretto accento toscano.
Ma non voglio andare oltre nella catena di ricordi che il libro di Franco a San Miniato ha messo in moto. Il fatto che lui abbia aggiunto in seguito al cognome Taviani anche quello della madre Brogi ha un significato evidente che me lo ren- de ancora più caro, appartenendo la madre a una comunità di pianura, la Scala appunto. I Brogi della Scala erano numerosi, basta pensare che al cimitero ci sono tre cappelle con questo nome. Dal momento che anche noi Fancelli eravamo imparentati con i Brogi (zia Ilide aveva sposato Emilio Brogi), mi pare quasi che si possa aggiungere un altro sottile filo ai molti che ci legano.
Com'era Franco al tempo del liceo? Capelli folti, neri come la pece, lisci, piuttosto disordinati; dominante nelle discussioni, eloquio fluente e torrentizio, parlava animatamente con tutti ma guardava da sempre oltre l'orizzonte del per- corso San Miniato-Empoli e ritorno. AI Liceo sarebbe rimasto un triennio, dal ‘57 al ‘60, come risulta dall’Annuario dell'Istituto Liceo classico Virgilio (Empo- li, Caparrini 1972); la maturità, come tutti quelli del Virgilio, Franco l’ha fatta a Firenze a Liceo Galileo.
Ma il ricordo più intenso di Franco è fuori dal liceo Virgilio: è il ragazzo che faceva parte di un sodalizio indivisibile: Franco, Pier Luigi Manetti e Giorgio Giolli, tutti abitatori dello Scida. Sono portata a pensare che nel romanzo di Franco ci sia una sorta di ritratto involontario di Pier Luigi sia pur dietro ad alterazioni, camuffamenti e contaminazioni; un ritratto sullo sfondo lontano di un’altra san Miniato, quella dei ceti medi poveri, come era il padre fornaio di Pier Luigi. In ogni caso nel libro emerge bene un lungo sodalizio d’arte e di amicizie, il mondo delle immagini e della pittura, della rappresentazione visiva del mondo. Il triangolo degli artisti Franco Pier Luigi Manetti e Giorgio Giolli potrebbe es- sere visto in vari passaggi del libro da chi li ha conosciuti in quegli anni. In ogni caso l’arte figurativa e la storia dell’arte hanno una parte i nel romanzo, con racconti a latere molto suggestivi come l’episodio della ricerca della Madon- na del parto di Piero della Francesca.
Dopo la maturità Franco partì subito per Roma, l’eldorado del cinema italia-
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Il margine al romanzo Le Ricorrenze di Franco Brogi Taviani
no nella sua fase più gloriosa. Più tardi sarebbe partito anche Pier Luigi Manetti e nessuno dei due sarebbe più tornato. Ho poi rivisto Franco a Roma, qualche volta a l’Eau vive, un ristorante gestito da suore di Capoverde; lì ci siamo visti qualche volta insieme a Giovanna che lavorava non lontano, alla Fondazione Lelio Basso. Poi le vicende della vita, i reciproci spostamenti e viaggi hanno fatto sì che i nostri contatti rallentassero fatalmente. Ma il filo non si interruppe mai, anche quello attraverso gli amici rimasti tra i quali Giorgio Giolli, Gianni Taviani e una compagna di liceo, Luisella Cerrai. Ho rivisto Franco tanti anni dopo a un cinema che forse era il Portico a Firenze quando fu rappresentato un suo bellis- simo documentario sull’Africa, Forse Dio è malato, al quale portai con me anche Francesco e Giovanna Gurrieri. Del documentario ricordo le immense discari- che, ma anche il doloroso splendore delle rovine coloniali, la vita che continuava nelle condizioni più umilianti. Anche di questa esperienza africana ci sono a mio parere molti riflessi nel libro e precisamente nel capitolo decimo.
Fatte queste lunghe premesse, si capirà perché sa letto il romanzo di Franco scrutando ogni riga alla ricerca di persone, episodi, oggetti e fatti reali. Senz'altro il modo più sbagliato di leggere un libro, ma l’ho fatto quasi sapendo di sbagliare e abbandonandomi in un certo senso all’errore. Sapendo di Lal fino a un certo punto, perché oggi anche la critica più conservatrice ammette da tempo - basta pensare a Umberto Eco e al suo Lector in fabula - che i libri esistono nella molteplicità delle letture possibili, che sono organismi mutanti, e che il lettore ha la capacità e la libertà di mutarli, e quasi di lan a seconda dei gradi di lettura, un secondo autore. Ho letto di recente che Giovanni Gentile, nel lontano 14 novembre 1914, in occasione della sua prolusione a Pisa L'esperienza pura e la realtà storica sorprese i presenti affermando che «la Divina Commedia, nella cui lettura ci esaltiamo, non è quella scritta sette secoli fa, ma quella che scriviamo noi leggendola».
Con la presunzione dunque di una lettrice che pensa di poter leggere in libertà e perfino di poter trasformare le pagine che legge, vengo finalmente al romanzo di Franco Brogi Taviani, intitolato Le Ricorrenze. Un titolo molto felice, originale, semplice rispetto alla complessità della storia narrata; esplicativo, dichiara diret- tamente l’oggetto del narrare.
Mi sono trovata davanti un libro che non lusinga il lettore e non ricorre ad artifici di benevolenza e di seduzione. Che ha anche una costruzione molto ela- borata, elementi autobiografici di autofiction, elementi storici di una possibile saga dinastica, alcuni elementi di scrittura e di immaginazione filmica quali, ad esempio, il tempo costantemente al presente. Non è un libro qualunque, non assomiglia ai molti romanzi che circolano oggi nel tempo del computer, né alle nuove saghe. Somiglia forse piuttosto al genere del romanzo di formazione, ma mentre il cosiddetto romanzo di formazione accompagna un eroe dall’uscita dalla casa paterna fino alle soglie della società, questo, accompagnando il protagonista dagli inizi alla morte, si configura piuttosto come la storia integrale della vita di un uomo. L'elemento unificante (non solo sul piano formale) sono appunto le ricorrenze: ricorrenze pubbliche e private, feste religiose e feste laiche, attorno alle quali si costruiscono e si dipanano grandi e piccoli eventi, passioni, amori, nascite, spezzoni e fasi della vita professionale del protagonista. Non può sfuggire a nessuno il senso di questa scelta da parte dell’autore, quella cioè di ripensare la propria vita secondo gli eventi rituali della vasta di non può sfuggire il
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Maria Fancelli
senso stesso della ritualità, l’idea del tempo scandito dalle feste e dalle riunioni di famiglia, come meccanismo che frena e ferma il gorgo inesorabile della vita e del vivente. C'è un'idea del tempo che ritorna e che si intreccia con lo spazio e con la stanzialità. In realtà sulle date storiche ogni tanto mi pare ci sia qualche incongruenza, in ogni caso c'è un continuo trapasso dal tempo storico che sem- bra dominante verso il tempo ciclico e qualche volta anche verso il tempo mitico del ricordo.
Il protagonista si chiama Gugliemo Aspesi, figlio minore dell’eminente inge- gnere Aldemaro Aspesi che vive in una cittadina che è, sempre secondo la mia ottica, piuttosto somigliante a San Miniato. I nomi Guglielmo e Aldemaro sono, in singolare continuità, gli stessi dei protagonisti nel romanzo di esordio dell’au- tore // tesoro. Case iii e persone delle vicende narrate ne Le ricorrenze, sono naturalmente dislocate e rese irriconoscibili. Nonostante i camuffamenti credo di avervi rivisto tracce infinitesimali di abitudini e di avere sentito risuonare nomi a me noti: le feste in casa, una famiglia Nardini, la serva dei conti Briccoli, il con- vento di Santa Chiara, Don Nello, il campanone. Di Aldo Vacca ovvero di quel a che potrebbe avere inconsapevoli tratti di Pier Luigi Manetti ho già
atto cenno.
Nel quadro familiare, mi sembra molto importante il rapporto tra fratello e sorella, qui Tecla e Guglielmo. Il protagonista mi sembra una figura multipla che ingloba varie persone a cominciare dal padre senza dubbio dominante. La sua intensa vita attraversa esperienze professionali, politiche ed umane molto diverse. Guglielmo Aspesi è un uomo antico e moderno; di antico ci sono le pulsioni, gli amori e le scoperte adolescenziali, c'è un episodio cronologicamente i... della guerra partigiana, quindi una temporanea avventura politica come consi- gliere provinciale; ex- docente di storia dell’arte a un certo punto è inserito in una grande azienda di comunicazione, all’interno della quale compie una interessante missione e trasferta in Africa. Con un'apertura sul colonialismo che ricorda il già citato reportage del 2007.
Nella sua vita sentimentale ci sono varie relazioni femminili, alcune burrasco- se, ci sono una figlia e un figlio amatissimi, ci sono molte relazioni sociali. C'è nelle sue esperienze amorose e di vita una visione a mio parere prevalentemente maschile e patriarcale. Tuttavia Guglielmo non è solo un uomo antico ma a suo modo anche un contemporaneo del proprio tempo. La sua è una personalità complessa, piuttosto sofisticata e per certi aspetti fragile: ha sperimentato qualche spinello, conosce la psicanalisi, ha letto Freud e soprattutto Lacan, conosce l’arte moderna e i maestri dell’arte pop. Formato sulla storia dell’arte insegue capola- vori dispersi come la Madonna del parto di Piero della Francesca. La capacità di analisi introspettiva mi fa pensare, ma è forse un’altra connessione impropria, al lungometraggio che Franco Brogi Taviani aveva girato nel 1980 su Wanda von Sacher- Masoch.
Ma la vera sorpresa per me è stata la componente tedesca del mondo di Gu- gliemo/Franco. Non solo i nomi dichiarati: Heine Goethe Heidegger Diirer, ma anche i versi e le numerose citazioni in tedesco. Una figura non minore del ro- manzo, una potente temuta manager con tre segretarie, è tedesca e porta il nome un po arcaicizzante di Hildegunde. Soprattutto mi ha colpito che il romanzo cominci e finisca con una nota favola dei Grimm Der goldene Schliissel (La chiave d'oro) che si pone probabilmente anche come chiave dell'intero romanzo. I fratel-
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Il margine al romanzo Le Ricorrenze di Franco Brogi Taviani
li Jacob e Wilhelm Grimm la collocarono alla fine della raccolta di fiabe, anche loro con l’intenzione di dare un finale aperto.
Che cosa ci racconta l’ultima fiaba dei Kinder- und Hausmdrchen? Ci raccon- ta di un ragazzo povero che in un gelidissimo giorno d’inverno esce di casa per cercare un po di legna per scaldarsi. La trova. Ma alla fine le sue mani sono così fredde che deve accendersi un fuoco; il fuoco scioglie la neve e sul terreno brilla di colpo una piccola chiave d’oro. Il ragazzo scava ancora un po’ finché appare una cassettina, con la chiave cerca la serratura, funziona, lo scrigno si apre. Ma i Grimm non ci raccontano che cosa vede il ragazzo, che cosa c'è nello scrigno, lasciando il lettore libero di pensare al contenuto.
Nel romanzo Le ricorrenze una piccola chiave d’oro viene deposta nel luogo in cui sono disperse le ceneri del protagonista, e sotto al cumulo di sassi che copre la sepoltura del cane di nome Scrigno. Qui la chiave d’oro è più vicina alla terra, al nulla e alla finitudine rispetto alla chiave del racconto dei Grimm che non si apre sul mistero.
Franco Brogi Taviani è tornato a San Miniato per la presentazione di questo romanzo. Un'opera che ci dà la misura del suo spessore umano, intellettuale ed artistico, che sigilla un'attività di narratore cominciata con // tesoro (Marsilio, Venezia 2005) e continuata con Porte segrete (Gremese, Roma 2015). Per questo romanzo che corona una vita ricca di esperienze, che parla di noi tutti, della vita, di tante vite, che tocca e sfiora i temi ultimi, per questa sua chiave d’oro che riluce anche sul nostro limite, mi sento di esprimere l’auspicio che l’attività di Franco Brogi Taviani scrittore possa venire ricostruita nella sua totalità e studiata con adeguati strumenti critici; in particolare che possa essere ripensata come parte viva e integrante del lavoro registico che evidentemente si è sempre nutrito di passione narrativa e di un lungo esercizio di scrittura.
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L'ombra di Anna
ANGELO FABRIZI
È appena uscito di Anna Braschi, Stridono piccole voci. Versi leggeri dell’ultim'o- ra, Prefazione di Ernestina Pellegrini, San Miniato (Pi), La conchiglia di Santia- go, 2022, pp. 208, raccolta di poesie.
Dopo L Prefazione di Ernestina Pellegrini, // diario in versi di Anna Braschi (pp. 5-10) la raccolta ha tre sezioni: Amici (pp. [11]-80), Cavoli Bollecaldaie (pp. [81]-97), San Miniato (pp. [99]-145), Storie, pensieri, affetti, gioie e dolori (pp. [147]-197). Chiude il La una breve biografia di Anna Braschi, dovuta ad A[ndrea] M[ancini].
Le poesie si situano negli anni cha vanno dal 2006 al 2021. Esse sono popo- late da amici, amiche, luoghi e paesaggi amati, ricordi e incanti di ieri e di oggi.
Sintetizzando si potrebbe dire che Anna pensa, sente, soffre. Anna avverte tutta la bellezza e il mirabile manifestarsi del vivere, il suo fascino lacerante, con- templa come sbigottita il suo misterioso affievolirsi, svanire, il perdersi di tutto. Cosa resta? Risponde con ostinazione Anna: la freschezza degli affetti. La vecchia- ia è respinta dalla volontà di durare giovani eternamente. Lei sa che il tempo è inarrestabile. Al tempo oppone l’eterna bellezza della natura. La morte non è mai nominata. Chi ne è colpito lascia «un segno profondo / di accettazione e fiducia».
Una sua eroina è la indimenticabile Clorinda tassiana «pronta a dar battaglia». O Maddalena «dalla parola / che non risparmiava». O la Nena, per «L'eterna gio- vinezza» del suo cuore. Il bilancio del vivere certo è un «gramo intreccio» e con- statarlo è una «deprimente litania». Il sogno nascosto di Anna: essere «La regina del mare», ricca «di ricordi / di sogni e di dolcezze assaporate». Cos'è la vita? Una valigia piena d’allegria, ricordi, speranze, sogni. L'importante è rimanere sempre le stesse ora e sempre, soddisfatte «di una vita trascorsa in dolce compagnia». E rivedersi, sia pure per dirsi ogni volta addio. L'estate è il regno delle fate: di ieri, di oggi, di sempre. Esse custodiscono la memoria della felicità.
La felicità è il tema della raccolta: felicità raggiunta, felicità scomparsa, felicità come dovere. E la vita è un arbusto frondoso, ma ripieno di un succo meraviglio- so. La felicità è giovinezza: passo sciolto, capelli al vento, pelle luminosa. La feli- cità è il mare, gli scogli, le onde, i rari fiori di spiaggia, il sole lucente, la corrente, nuotare insieme. E il mondo dell’infanzia a San Miniato: sentieri, piazze, brusii mattutini, prati, alberi, stelle, la nonna, le rondini, voci di acqua e di giunchi. San Miniato è «bello e ostile», ma è sempre lo stesso, dominato dall’alta rocca, immerso nel verde.
Un certo pessimismo sulla San Miniato moderna: «si studia molto senza fare niente, / grandi discorsi solo da una parte, / se fai qualcosa e te la paghi anche, / dai comunque un fastidio sconvolgente». Alcune poesie di Anna evocano il suo lavoro di cura e riscoperta degli antichi vicoli di San Miniato. Ai nipoti è dedicata
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Angelo Fabrizi
l’ultima parte della raccolta. Belli i consigli che Anna dà loro: «Cammina diritto fischiettando, / guarda il cielo, pensa con la tua testa». Si affaccia come un lampo minaccioso la coscienza della propria caducità: «della vita / che si spezza in due, / poca ne resta». Ma c'è la libertà, l'attesa: come un profumo. I problemi del mon- do moderno, le gigantesche migrazioni di popoli.
Anna si sente in colpa per l'esclusione sociale cui sono condannati i migranti. Ma bisogna «Trovare con fatica / una strada comune / che ci porti, forse chi sa, / soltanto un poco avanti». La sua vita è «una disperata sfida, / contro il tempo e l'ignoto», il non voler cedere a nulla. Anzi la sua natura la porta a perdere le staffe (come spesso fanno le fiere donne toscane). Anna non ama il lamento, l'eterno brontolare di tanti, anche se è faticoso vivere «pieni di colpe / privi di speranze». Forse un giorno i nostri discendenti si stupiranno della nostra indifferenza a tanto dolore, a tanti morti, a tante stragi in mare. Ma gli errori che si fanno nella vita si rifarebbero uguali se potessimo rivivere.
E «Ci stiamo riducendo a degli schiavi». Schiavi di che? Del progresso che ci circonda e controlla e soffoca? Troppo pessimista qui Anna. E rimpianti: per ciò che poteva essere e non è stato. Ma in fine: ricordi e tenerezze passate non devono impedire di volare ancora, di vivere assaporando felicità possibili sempre. Anna, dicevo, pensa, sente, soffre. E tutta la raccolta è un inno alla vita felice a contatto col mare: non c'è altro, il resto è contorno.
Un contorno affollato: di amici, di amiche, di nipoti, di sirene, di fate, di far- falle, di antiche vie e angoli di una città magica quale è San Miniato, di studioso raccoglimento, di ricordi. Questo volume ha una sua bellezza, leggerlo fa bene, così arioso, ameno, solare, luminoso. Ci sono anche le ombre, a cominciare da quella della foto di copertina, che ritrae l'ombra di Anna, che il sole stampa sulla terra, un'ombra che ci guarda, un'ombra pronta a svanire, un'ombra appunto.
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Un medaglione per don Nello Micheletti presidente dell’Accademia degli Euteleti e tra i fondatori dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato
MARZIO GABBANINI
Non è facile realizzare in poche pagine un medaglione biografico su don Nello Micheletti (Fucecchio 1894 — San Miniato 1969), per varie ragioni che vorrei enucleare sin dall'inizio. Innanzitutto perché di don Nello Micheletti si sono perse quasi tutte le tracce archivistiche. Dei numerosi impegni e incarichi che egli rivestì, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi, ci restano pochissime testimonianze “di suo pugno”. La strada potrebbe essere quindi quella di raccon- tare l’esperienza umana di don Nello, attraverso il ricordo personale, ancora vivo, del tempo trascorso a San Miniato Basso. Questa strada ha il rischio di scendere nell’intimo ma al contempo può restituire un punto di vista sulla persona davve- ro autentico perché derivante dall'esperienza personale.
I motivi per parlare di don Nello Micheletti sono svariati. Innanzitutto per- ché egli è stato uno dei fondatori dell’associazione Istituto del Dramma Popolare nel lontano 1947. L'attuale Fondazione IDP, che ho l’onore di guidare -e che è intimamente connessa all'Accademia degli Euteleti di San Miniato in quanto sin dall’inizio gli accademici dichiararono il totale appoggio verso le iniziative del “Teatro sanminiatese dello Spirito” - ha avuto proprio tra i suoi primi promotori il sacerdote di San Miniato Basso, e oggi la Fondazione, sul solco della tradizione degli inizi, persegue gli stessi obiettivi che don Nello Micheletti insieme ad altri Euteleti come l’avvocato Giuseppe Gazzini e Dilvo Lotti, e la professoressa Laura Mori, avevano indicato nell’atto costitutivo all'articolo 3:
L'Istituto del Dramma aa si propone, soprattutto, in relazione all'ormai tradizionale Festa del Teatro che ha luogo in San Miniato in onore di San Genesio, di riprendere e far rivivere la tradizione si sacre Sa del Medio Evo, non già attraverso semplici esumazioni o ricostruzioni di testi dell’epoca, ma creando una “Sacra Rappresentazione” che appaia tale per il popolo di oggi con i suoi problemi di oggi, e, quindi, nuova nel senso più ampio della parola, sia come spirito informatore, sia come tecnica di realizzazione.
In secondo luogo mi pare opportuno parlare di un sacerdote che ha fatto par- te dell’Accademia degli Euteleti in un momento particolare della storia italiana, quella della ricostruzione successiva al secondo conflitto mondiale, vissuta a San Miniato con particolare energia ed entusiasmo dopo i lutti e le distruzioni. Al sacerdote di San Miniato Basso era stata infatti affidata la ripartenza dell’Accade-
1 Inventario dell'archivio storico della Fondazione Istituto del Dramma Popolare (d’ora in poi
ASFIDP), a cura di A. di Bartolo, Fondazione IDPSM, San Miniato 2022: A.I.1, fascicolo 1.1
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Marzio Gabbanini
mia dopo la sosta forzata dovuta al secondo conflitto mondiale. Don Nello guidò l'Accademia, prima come commissario straordinario e poi come Presidente fino al 1967. Nel 2022, anno giubilare della più antica società scientifico letteraria di San Miniato, uno schizzo biografico su un sacerdote che è stato per vent'anni alla guida degli Euteleti, può apportare quindi un piccolo contributo anche alla storia di questo ente culturale che compie duecento anni.
Sfogliando l’archivio storico della Fondazione Istituto del Dramma Popolare, in particolare la serie Statuti e documenti fondativi, Organi amministrativi, Elen- chi di soci e Carteggio generale, la figura e il ruolo di ; Micheletti sono quasi nascosti. Lui, che era stato tra i promotori, sembra quasi rifuggire il palcoscenico e stare invece “dietro le quinte” dei primi anni di vita associativa e organizzativa. Don Micheletti è presente nel Direttivo del Dramma a partire già dalla prima manifestazione del luglio 1947 con l'avvocato Giuseppe Gazzini, il pittore Dilvo Lotti, il maestro Giovanni Bagagli e il professor Concilio Salvadori (vedi foto do- cumento 1). Nel 1949 inizierà infatti a collaborare un altro sacerdote, don Gian- carlo Ruggini, che invece vivrà le vicende del Dramma in prima persona curan- do rapporti epistolari con autori, registi e istituzioni, e incidendo notevolmente come direttore artistico nella scelta dei testi del comitato di lettura.* Due anni dopo, in un elenco dettagliato dei collaboratori dell’associazione, con la specifica dei vari ruoli, don Micheletti appare come “consigliere” (vedi foto documento 2), mentre nell’organizzazione interna dell'Istituto, a tre anni dalla nascita, il nome del sacerdote è affiancato a don Ruggini e ai coniugi Gazzini nella Direzione (vedi foto documento 3). Ufficialmente rn nel Consiglio Direttivo era avvenuto solo il 21 agosto del 1950, per effetto delle dimissioni dell'avvocato Giovanni Manetti, sostituito all'unanimità con il sacerdote fucecchiese domiciliato nella frazione di San Miniato Basso.?
L'impegno civico di quegli anni è molto incisivo. Don Micheletti è infatti chiamato a collaborare come assessore al personale nella prima giunta comunale dopo la liberazione di San Miniato. Si trattava di un incarico ana per il qua- le era stato necessario un permesso dell’Ordinario. Era stata la prima volta, ed è tuttora l’unica, che un membro del clero sanminiatese ricopriva una carica pub- blica. Ma il suo nome ricorre spesso anche in altre pratiche come quelle relative alla nascita della Pro Loco o nell’organizzazione del Comitato per la ricostruzione della Rocca. Spirito libero e coscienzioso durante il Ventennio fascista mostrò spesso atteggiamenti contrari al regime, a tal punto da essere sospeso dalla dire- zione dell’organo ufficiale della Diocesi, il settimanale La Domenica, che aveva fondato nel 1937 con il sacerdote Pietro Stacchini. Non mancò di esternare le proprie critiche anche con il locale Partito comunista contro il quale condusse
2 Idocumenti citati e riprodotti fanno riferimento alla collocazione nell'inventario dell’archivio
disponibile nella sede dell’Istituto e presto on-line nel nuovo sito internet in fase di costruzione.
3. L'attore Gianni Lotti, in una lettera del 17 agosto 1976 diretta ad Aldredo Merlini, non indica invece il nome del sacerdote sanminiatese tra coloro che per primi si riunirono nella sua abitazione. Cfr. Dramma popolare. Nuovi spazi cristiani, «Quaderno 1/1980», Istituto del Dramma Popolare 1980, p. 21.
4 A far entrare don Ruggini nel Dramma Popolare era stato proprio don Micheletti, come ben spiega Laura Baldini nel suo volume // Dramma Popolare di San Miniato. Le ragioni della speranza. Fon- dazione Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, San Miniato 2013, p. 36.
© ASFIDP, A.IL.1, Libro verbali del Consiglio.
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Un medaglione per don Nello Micheletti presidente dell’Accademia degli Euteleti e tra i fondatori dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato
aspre polemiche sempre dalla colonne della Domenica, alla cui direzione era stato richiamato nell’immediato dopoguerra.‘
Nel triennio iniziale delle attività del Dramma popolare, insieme a tutti gli incarichi pubblici che abbiamo ricordato, don Nello Micheletti è impegnato in molti fronti, il primo dei quali è certamente quello parrocchiale. Dal 1926 era infatti titolare del beneficio parrocchiale dei Santi Martino e Stefano a San Mi- niato Basso, dopo che era stato cappellano nella pieve di Cigoli e nella parrocchia di Ponsacco. Il suo percorso ecclesiastico lo aveva portato a ricevere la “sacra ton- sura” il 20 marzo del 1920 per mano del cardinal Alfonso Mistrangelo a Firenze, poi l’Ostiariato e il Lettorato il 29 maggio dello stesso anno. Il Rettore del Semi- nario arcivescovile fiorentino, dove don Micheletti si era iscritto al ritorno dalla prima guerra mondiale, aveva potuto attestare “in fede” che “il Chierico Nello Micheletti di Luigi della Diocesi di S. Miniato, alunno di questo seminario, ha continuato anche dopo il ricevimento della S. Tonsura a tener sempre lodevolis- sima condotta, frequenza agli esercizi di pietà, e mostrar sempre venerazione allo Stato Ecclesiastico””. Di conseguenza il giovane chierico era descritto dai suoi ret- tori come ragazzo di buone promesse e meritevole di ricevere gli ordini superiori. Il 18 luglio da 1920 aveva ricevuto il grado dell’Esorcistato e quello dell’Accoli- tato. L’ordinazione sacerdotale, ultima tappa del percorso sacerdotale che fino al Concilio Vaticano II si divideva ancora tra “ordini minori” e “ordini maggiori”, era avvenuta il 31 ottobre del 1920, sempre a Firenze, dove studiava. Pochi anni dopo arriverà la nomina a parroco di San Miniato Basso in un periodo particolare per la storia della comunità che verrà riconosciuta come frazione. All’impegno parrocchiale don Micheletti aveva affiancato quello di insegnante, dapprima di italiano e latino presso l’Istituto Magistrale di Montopoli, poi nel Seminario ve- scovile di San Miniato, e infine l'insegnamento di religione alle magistrali di San Miniato. “Dantista e latinista di pregio” — come Li Laura Baldini — non era passato inosservata la sua preparazione culturale, tanto che al termine del secon- do conflitto mondiale era stato nominato alla guida dell’Accademia degli Euteleti di cui già faceva parte come socio ordinario dal 1930.
Nell’Accademia degli Euteleti il ruolo di don Micheletti, di pari passo con
uello al Dramma Popolare, è ancora più incisivo. A lui viene affidata la ripresa delle attività, prima come presidente provvisorio poi come effettivo fino al 1967. All’interno degli Euteleti la sua attività si concentra soprattutto nella collabora- zione alla redazione del Bollettino, nel quale compare per tre volte come autore, con un articolo sul numero 24 del 1947 dal titolo Ne/ / centenario della morte del poeta Pietro Bagnoli, e le presentazioni dei bollettini 33 e 34 degli anni 1961 e 1962. Come Presidente dell’Accademia era stato lui a conferire all’illustre filo- sofo Maritain, Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, il diploma di socio onorario in occasione della prima rappresentazione assoluta che si svolgeva in
È Cfr. R. BOLDRINI (a cura di ), Dizionario biografico dei sanminiatesi (secoli X-XX), Pacini Editore, Pisa 2001, p. 196 ad vocem.
7. ASDSM, Sacre ordinazioni, 1920, fascicolo don Nello Micheletti, carte non numerate. Si ringrazia il dott. Di Bartolo Alexander per aver fornito le notizie ecclesiastiche su don Nello Micheletti dai documenti d’archivio diocesano.
8 Cfr. Il Dramma Popolare di San Miniato. Le ragioni della speranza, cit., p. 36.
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San Miniato? de La maschera e la grazia di Henri Gheon. Il momento delle sue dimissioni sono considerate un vero e proprio “scossone” per l'Accademia, come
si evince dal Bo//ettino del 1968 (n. 40):
Dopo tanti anni, quasi venti, il Can. Prof. Don Nello Micheletti ha lasciato la Presidenza dell’Accademia! Contro la sua ferma decisione si sono spuntante tutte le buone ragioni, che indistintamente da ogni parte sono state apportate per indurlo a recedere dal suo proposito. Superfluo quindi dichiarare che il generale rammarico è stato profondamente vivo, è facile intuirlo, ma noi vorremmo che ogni nostra affermazione fosse svuotata di ogni retorica, sia quando ricordiamo che Don Micheletti (ci scusiamo l'appellativo più familiare) fu il Presidente Com- missionario della ripresa dopo la sosta bellica, sia quando pensiamo che a Don Micheletti Presidente sono legati, fra tante altre cose, l’atto di nascita dell’Istituto del Dramma Popolare, e la nuova serie dei Bollettini. Non sarà facile esprimere adeguata gratitudine per quanto è legato alla sua attività pro Accademia.
La rinuncia irrevocabile di don Micheletti aveva portato alle dimissioni in massa dell'intero consiglio accademico, rinnovato l’anno successivo con la presi- denza del professor Enrico Coturri, la vicepresidenza del ragionier Pietro Bertini e i consiglieri dottor Antonio Aquilini, l'avvocato Crescenzio Franci, il professor Dilvo Lotti, la nobil donna Emilia Morali-Stoia, la professoressa Anna Matteoli, la professoressa Elettra Rondoni Anhalt e lo stesso Micheletti.
Nel 1969, la sera del 7 dicembre, veniva a mancare. A don Micheletti uomo e sacerdote nella San Miniato Basso che è stata luogo della mia infanzia vorrei quin- di dedicare alcune parole conclusive. Per chi -come lo scrivente- era cresciuto “al campino della parrocchia e all'ombra del campanile” la figura di don Micheletti, “il canonico Micheletti”, si erge oggi a grande riferimento culturale, che forse un tempo non comprendevamo appieno. Giovani, appassionati di sport e corse all’a- ria aperta, consideravamo la parrocchia come punto di riferimento fondamentale per lo svago ma anche per l'istruzione cristiana. Non posso dimenticare il sorriso, delineato in un volto austero, del canonico Michelenti quando rispondevamo correttamente a una delle domande che un tempo, a mo' di interrogazione, ci ve- nivano fatta “a dottrina”. Anche nel servizio sull'altare pretendeva da noi ragazzi la massima serietà e compostezza, ma non dimenticherò mai la sua commozione quando alle sei del mattino mi trovò, un giorno di primavera, già sulla soglia del portone ad attendere l’inizio della celebrazione nella quale avrei dovuto fare il chirichetto. Mi regalò un sorriso, quasi commosso della mia presenza, e mi invitò ad entrare in chiesa per ripararmi dalla frescura delle albe primaverili. Rivedo la sua commozione negli occhi, in quel viso austero ma con un cuore di vero padre, che soccorreva i bisognosi nella carità silenziosa. Ricordo le sue parole di oratore persuasivo e di di spessore culturale, sacerdote di schiettezza dei sentimenti e chiarezza espositiva come pochi altri.
2 D. LOTTI, Istituto del Dramma Popolare 1947-2004. Sacralità del Teatro, in «Annali della Pon- tificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon», Città del Vaticano, Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon Editrice, 2005, p. 163
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Un medaglione per don Nello Micheletti presidente dell’Accademia degli Euteleti e tra i fondatori dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato
Abbreviazioni Archivistiche
ASFIDP = Archivio Storico Fondazione Istituto del Dramma Popolare ASDSM = Archivio Storico Diocesi di San Miniato
Bibliografia minima
BarpinI L., Il Dramma Popolare di San Miniato. Le ragioni della speranza. Fon- dazione Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, 2013, San Miniato.
BoLprInI R. (a cura di), Dizionario biografico dei sanminiatesi (secoli X-XX), 2001, Pacini Editore, Pisa.
Dramma popolare. Nuovi spazi cristiani, «Quaderno 1/1980», Istituto del Dram- ma Popolare, San Miniato.
Lotti D., Istituto del Dramma Popolare 1947-2004. Sacralità del Teatro, in «An- nali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon», 2005, Città del Vaticano, Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon Editrice.
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a
MANIFESTAZIONE DI S,GENESIO IN SAN FA LUGLIO 1947
ESECUTIVO Li GAZZINI Avv, Giuseppe i LOTTI Prof. Dilvo MICHELETTI Don Nello BAGAGLI Mo Giovanni 4 SALVADORI « Prof .,Concilio
INTERPRETAZIONE E REGIA = LOTTI Giovanni
UFFICIO STAMPA = . SA To rassareno TARCIONI Nazzareno GIANNONI - Canco. Enrico MESSERINI Alessandro RONDONI Umberto CARBONCINI Rag. Wilfredo CATARCIONI Mario
UFFICIO PROPAGANDA = BACCETTI Angelo
UPPIBIO PINANZA
LEPCRASE. Dr. Pietro GIUGNI dito
inn tte
Fig. 1: Manifestazione di S. Genesio in San Miniato/luglio 1947. Il terzo nome del gruppo esecutivo è quello del sacerdote sanminiatese. In ASFIDP, A.III.1, fasc. 1.
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Un medaglione per don Nello Micheletti presidente dell’Accademia degli Euteleti e tra i fondatori dell'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato
1144 ELENOW DEI SOCI E BRGLI ADDETTI ALL'Istituto del Dramma Popolare
________-_
1) MOri Marcello - addetto alla pubblicità e prop. 2) Giannoni Rigoletto - addetto all'allestimento scenico, 3) Petralli Franco - " " »
4) Marrucci Marino - socio
5) Bagagli Giovanni - socio
6) Stefanini Mario - Tesoriere,
7 | Rinsld$ Gastone - alla pubblicità,
8) Gazzarrini Giuseppe + socio . %
9) Rondoni Francesco - socio Llorgieri Bice - socio | Ì Enrico - Segretario
sì coordinamento spettacolo.
no!
20) Gaetano o 24) Mario Palagini-Socio bio ueni'e
Cesare Cai-Socio adde
32) Masoni Varo - socio addi 33) Purleno - addetto alla si 34) Gabtim Saverio
Fig. 2: Elenco dei soci e degli addetti. Al numero 17 si legge il nome di don Nello Micheletti. In ASFIDB, A.III.1, fasc. 2.
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| ORGANIZZAZIONE GRTERNA| DELL'ISTUTETO DEL Dana POPOLARE PER LE MANIFESTAZIONI de 1950 =
|
CONSIGLIO DIRRTTIVO Don Nello Micheletti +
dii aneREto atetna ito” Odi 1 con part,rige are | Gianna pr E on part. rigua muto ca,
tiene delle antorità, ica art.
PUBBLICITA! TRASPORTI RS r1oS liaroello Meri — e Îlario Palagini Fetralli Ta a Stiffamatazialo e puMbi Raz
Mario “atarcioni (diff.mmero unico, può. auparo unéco e locale)
Fig. 3: Organizzazione interna dell'Istituto del Dina sun per le manifestazioni del 1950. Don Micheletti è il primo in elenco. In ASFIDP, A.II.1, fasc. 3
Fig. 4: ritratto fotografico di don Micheletti nel 1960 circa
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Omaggio ad Antonio Gamucci
ANGELO FABRIZI
Sono un lettore appassionato dei volumi del «Bollettino della Accademia degli Euteleti della città di San Miniato» usciti negli anni passati. Me li regalò mio suo- cero Angiolo Cheli. Li ho sempre tenuti vicini e a portata di mano. Me ne sono nutrito. Ho concepito stima grande per gli autori che vi hanno collaborato. La lettura e rilettura continua dei tantissimi preziosi loro contributi che contengo- no mi sono state motivo di arricchimento culturale e umano. Molti autori li ho conosciuti di persona, e ne ho un vivo e affettuoso ricordo. Voglio citare almeno gli indimenticabili saggi di Dilvo Lotti, Anna Matteoli, Lelio Mannari, Enrico Coturri, Antonio Gamucci, Aristodemo Viviani, Giancarlo Ruggini, Francesco M. Galli, Attilio Castelvecchi, Elettra Anhalt Rondoni e le poesie di Augusto Marrucci. Non che non abbia presenti i Bollettini degli ultimi anni, resi splendidi da valorosi studiosi. Il discorso sarebbe troppo lungo.
Ma ora in particolare intendo esprimere la mia gratitudine ad Antonio Ga- mucci (2.1I.1921-18.XI.1972) (e aggiungo un saluto al figlio Renzo). Ho parlato poche volte con lui. Sempre mi colpì la sua gentilezza non affettata, la sua bontà naturale, la sua passione per la ricerca, la premurosa cura del suo lavoro si inse- gnante e poi di preside di Scuola Media!.
Sembra di averlo ancora accanto a noi nel leggere le commemorazioni che ne fecero il 18 dicembre 1972 Enrico Coturri durante una seduta accademica, Gio- vanni Messerini il 27 novembre 1972 in una seduta del Consiglio Comunale, il ricordo anonimo che ne uscì su «La Domenica» del 26 novembre 1972, le parole di Dilvo Lotti. Vi si insisteva sulla bontà, sulla gentilezza, sulla disponibilità, sulla cultura, sull’impegno civico e religioso di Antonio Gamucci.
La mia gratitudine si riferisce al suo saggio intitolato Giacobini e Conservatori a San Miniato nel 1799. Gamucci Rn da un fascicolo conservato in casa della famiglia Morali di San Miniato, le lettere che Filippo Morali diresse al fratello Niccolò in aprile, maggio, luglio, agosto, settembre 1799, e in dicembre 1800. In esse Filippo raccontava che il 13 maggio 1799 furono presi in ostaggio dai francesi lui, il congiunto Giuseppe Morali (11835), Simone Caponi, il parro- co Antonio Migliorati (1742-1825). Filippo Morali apparteneva a una famiglia nobile di San Miniato. Nel 1786 aveva meno di trent'anni, e in un documento ufficiale è detto ignorante, di scarse risorse, dedito al divertimento e a far debiti. Non so fino a che punto debba considerarsi veritiero questo severissimo giudizio, espresso dal vicario regio Ranieri Tozzi. Lo stesso invece aveva parole iL per Simone Caponi*. Quanto all’ignoranza del Morali osservo che nelle nove lettere
! Tutti pubblicati sul «Bollettino» n. 43, 1974, pp. [5]-16. 2. «Bollettino della Accademia degli Euteleti della città di San Miniato», n. 42, marzo 1972, pp. [53]-105. 3. Paolo Morelli, Aspetti dell'economia e della società di San Miniato durante il regno di Pietro Leo-
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Angelo Fabrizi
adr dal Gamucci egli si dimostra perfetto padrone della lingua italiana. Le ettere spirano avversione totale contro i francesi, contro la «democratico-mania» dilagante e contro i giacobini italiani. Non mancano nella disavventura momenti comici, che il Moni coglie divertito. Nel 1799 Filippo Morali doveva aver su- perato di poco i quarant'anni‘. Il Morali dà l'elenco degli ostaggi. Tra i fiorentini nomina due volte l’«abate Gavard» (lettera da Monaco del 29 luglio 1799).
Questa notizia per me è stata oro. Perché ho scritto già due articoli sulla famiglia Gavard e su Carlo Emanuelle Gavard, amici fiorentini di Vittorio Alfieri. Ma la notizia del suo arresto non mi veniva da altre parti. In casa Gavard negli anni 1776- 1777 fu costituita una scherzosa Accademia letteraria, di cui Alfieri fu segretario.
L’«abate Gavard», nominato da Filippo Morali, era sicuramente Carlo Ema- nuelle Gavard (1751-1820), abate Gio vallombrosano dal 1767, figlio di Joseph Gavard des Pivets (Giuseppe Maria Gavard) (1730-1805), amministratore delle Finanze del granducato. Altri arrestati a Firenze furono il cav. Alessandri, Mar- ratti, Fabbracci, capitano Paur. Per ordine del generale Paul-Louis Gaultier de Ker- veguen (1737-1834), comandante militare della Toscana, furono portati a Livorno, e di qui per nave a Genova. Da Genova ripartirono per Nizza, Lu: arrivarono il 20 maggio. Da Nizza andarono a Monaco. Qui il 22 luglio giunsero da San Mi- niato pg due ostaggi, il cav. Federigo Guglielmo Jackson (1737-1806) (livornese, discendente di consoli inglesi, ascritto alla nobiltà sanminiatese, dal 1768 abitante a San Miniato, oggetto anche lui, da parte del vicario regio Ranieri Tozzi, di un giudizio negativo)® e il barone Vincenzo de Cerrapico, console di Malta a Livorno e costretto dai francesi a stare San Miniato.” Il 30 luglio pervennero ad Antibo, poi all'isola di Santa Margherita, poi a Cannes. Il 25 agosto giunsero a Digione®.
In appendice alle lettere Filippo Morali dà l'elenco degli ostaggi toscani se- condo È città di provenienza: Firenze, Pisa, Livorno, Prato, Pistoia, Pescia, San Miniato, Pietrasanta, Pontremoli, Siena, Lucca, Camaiore. Elenca poi gli ostaggi piemontesi, provenienti da Torino, Bra, Vercelli, Biella.
Nell’elenco dei piemontesi trovo il marchese Carlo Amedeo di Valperga di Caluso brigadiere ed aiutante generale di cavalleria?, il conte Agostino Maillard de Tournon maggiore di cavalleria, il cavalier Arduino Tana brigadiere di cavalleria, comandante della città di Torino!°. Carlo Amedeo probabilmente è uno dei dieci figli di Amedeo Valperga conte di Masino, marchese di Caluso e di Albarey (1674-1744) e della con- tessa Emilia Doria di Dolceacqua (1710-1752). Sarebbe dunque fratello di Tomaso Valperga di Caluso (1737-1815), abate e dotto in ogni scienza e grande amico di
poldo, in: San Miniato nel Settecento. Economia, Società, Arte, a cura di Paolo Morelli, Cassa di Risparmio di San Miniato / Pisa, Pacini, 2003, pp. [15]-45: 26-27.
4 Ibidem.
?. Gamucci cit., p. 87.
© Vedi: Roberto Boldrini, La nobiltà di San Miniato nell'epoca delle riforme, in: San Miniato nel Settecento. Economia, Società, Arte cit., pp. [47]-105: 49, 69, 93, 104; Paolo Morelli, Aspetti dell’econo- mia e della società di San Miniato durante il regno di Pietro Leopoldo, ivi, p. 26.
7. Ivi, p. 87. Vedi anche Dilvo Lotti, San Miniato. Vita di un'antica città, Cassa di Risparmio di San Miniato / Genova, Sagep Editrice, 1980, pp. 131-133. Gamucci lo nomina come baron Cerrapico, Lotti come marchese De Cerapico.
8 Gamucci cit., pp. 71-99.
° Ivi, p.97.
10 Ivi, p. 98.
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Omaggio ad Antonio Gamucci
Alferi"!. Agostino Maillard de Tournon appartiene alla stirpe della madre di Alfieri, Monica Maillard de Tournon (1721-1792). Forse era figlio di un fratello di Monica. Lei ebbe tre sorelle e due fratelli. Padre di Agostino dovette essere Carlo Giuseppe Maria Antonio Agostino (1716-1778). In famiglia era viva la professione delle armi. Il padre di Monica, Vittorio Amedeo Maria Felice Maillard de Tournon o Vittorio Amedeo II (1685-1754) giunse ad essere luogotenente generale della Cavalleria'?.
Arduino Tana (1748-1828), nato a Torino, amico in gioventù di Alfieri, giun- se al grado di maggiore generale".
Il bello viene ora. Il 22 febbraio 2008 il grande amico e grande italianista di Milano Franco Longoni (1949-2014)!* mi spediva in regalo un opuscolo a stam- pa anonimo di 20 pagine, intitolato: Lettera / di un amico della patria / a un amico / della religione / o sia / Lettera / di un fiorentino fuggito / dalla Francia. / A comune utilità / Non collocare le tue speranze negli Uomini, nei quali non vi è salute, nè pace. Beato sarai, se ti fiderai solo di Dio, e impetrerai opportunamente da Lui gli aiuti a’ tuoi bisogni. Salmo 145. V. 3.5., Firenze 1800. / Nella Stamperlia] da
. Mar[ia] in Campo / Con Approvazione. Né Longoni né io trovammo allora l’autore dell’opuscolo. E in questi 14 anni trascorsi dal giorno del dono non ci avevo più pensato. Senonché da qualche tempo, come ho detto, mi sono messo a indagare sui Gavard, amici di Alfieri. Ho rivolto particolare attenzione a Carlo Emanuelle Gavard, autore di molti scritti. Notizie su di lui mi ha dato Torello Sala. E fornisce anche un elenco delle sue opere.
Carlo Gavard entra nel 1767 nell’ordine vallombrosano e si guadagnò fama di letterato. Studiò in S. Trinita a Firenze e in Passignano sul Trasimeno.
Do un elenco provvisorio delle sue opere:
«Tempo di salute | opera / del molto reverendo padre / D.Carlo Emanuelle / Gavard / monaco Ladio vallombrosano / dedicata al merito singolarissimo / di Sua Eminenza Reverendissima / il Signor Cardinale / D. Andrea Giovannetti / degno Arcivescovo di Bologna / e gran Principe del Sacro Romano Impero. / Libro Primo [-e secondo]. / In Firenze MDCCLXXXII. / Nella stamperia di Giuseppe Tofani / all'insegna della Concezione. / Con licenza de’ Superiori.» (reperibile su internet). Nel vol. II p. 246 sono elencate «Opere composte da D[on] Clarlo] Glavard] La Ragion Custode delle Umane Azioni. Tomi II- Pratica di ben morire sull’esempio di Nostro Signore. Tomi I. Trattenimento Utile. Tomi V».
Nel gennaio 1786 viene rappresenta con successo a Vienna la sua tragicom- media Le furie del re Saulle, o sia il Trionfo dell'Amicizia nelle Persone di David, e Gionata.
!! Vedi Il diario di Emilia Doria di Dolceacqua. Un inedito documento su cultura e società nel
Piemonte settecentesco conservato nell'Archivio Valperga di Masino di Milena Contini, Accademia delle Scienze di Torino, 2016.
Vedi Willem Jan Van Neck, / nonni materni di Vittorio Alfieri in due ritratti della Clementina, «Annali Alfieriani», IV, 1985, pp. [247]-254.
13. Su di lui vedi Vittorio Alfieri, Epistolario, a cura di Lanfranco Caretti, I (1767-1788), Asti, Casa d’Alfieri, 1963, pp. 30-31, 52-58.
1 Vedi al riguardo il mio articolo Tre cammei: Filippo Di Benedetto, Franco Longoni e Marco Ster- pos, «La parola del testo», XXV, 1-2, 2021, pp. 181-197.
!5 Vedi Torello Sala, Dizionario storico biografico di scrittori, letterati ed artisti dell'Ordine di Val- lombrosa, compilato dal p. Abate Torello Sala e pubblicato per la stampa da p. Abate D. Federigo Fedele Tarani monaco del medesimo Ordine, Firenze, Tipografia dell'Istituto Gualandi Sordomuti, 1929, 2 voll.,
vol. I, pp. 247-248.
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Angelo Fabrizi
Nel 1788 esce il terzo tomo della sua opera // Disinganno Comune.
Avvertimento al popolo cristiano nelle presenti circostanze, 1798.
Presentò domanda per ottenere (ma non lo ebbe) il canonicato della cattedra- le di Santa Maria del Fiore, e la stampò: Argomento d’evidenza in Florentina Cano- nicatus De Medicis l'abate Carlo Gavard agl'illustrissimi signori giudici del Supremo, Firenze, Nella stamperia di Pietro Allegrini alla Croce Rossa, 1798, pp. 20.
La Settimana di un Filosofo ragionevole Cristiano, Firenze, Stamperia Moiicke, 1799, deciso attacco ai principi rivoluzionari di libertà e uguaglianza.
Orazione al popolo cani sulla venuta di Lodovico di Borbone in re d’Etruria, Firenze, 1801.
La corrispondenza della verità colla politica, 0 siano letture istruttive o famigliari relative ai caratteri dell'uomo. A Sua Maestà Lodovico Primo, Re dell'Etruria, ÎInfan- te di Spagna ecc., Firenze, MDCCCI, presso Ciardetti, Volumi Tre.
Torello Sala elenca solo quattro di queste opere, cui aggiunge l'opuscolo ano- nimo donatomi da Longoni. Ecco risolto il mistero. Nell’opuscolo l’autore ano- nimo si firma (a p. 20) C. G. e si definisce toscano (per la precisione fiorentino). E le sue sono appunto le iniziali di Carlo (Emanuelle) Gavard. Racconta di avere peregrinato per la Francia, Savoia, Piemonte prima di essere arrestato e strappato alla a lia. Il 9 settembre 1799 fu liberato per intercessione dei signori «SM. M. di Ca.» della città di Cu. [neo?]. La narrazione è avvolta in una continua esalta- zione di un Dio provvidenziale che aiuta i suoi fedeli. La sua colpa aver difeso il sacerdozio e il trono da tanti «libercoli infamatorj, scritti satirici, lingue sacri- leghe». I francesi non sono mai nominati, ma ad essi si allude come «quegli che fanno piangere tuttora gli uomini sensati sulla cecità di tanti miseri, che si tirano addosso i mali di un traviamento irragionevole». Egli fu strappato dalla famiglia. Divenne vittima dei nemici della patria. Ha affrontato pericoli in mare e ha sa mito sulla nuda terra. Scrive con sdegno che i toscani si son lasciati pervertire da un popolo pervertito. Abbiamo dunque un'altra testimonianza della dolorosa esperienza narrata nelle lettere di Filippo Morali, pubblicate da Antonio Gamuc- ci. Gavard racconta di aver vagato per la Franca Contea, la Savoia, il Delfinato, il Nizzardo il Piemonte, nutrendosi di latte, uova e acqua, e dormendo nelle stalle.
Ci son voluti 222 anni prima che fosse identificato l’autore dell’opuscolo ano- nimo. Si può dire che ho chiuso il circolo muovendo da Antonio Gamucci e incontrando il Dizionario di Torello Sala!. La mia gratitudine per entrambi è dunque pienamente giustificata.
In fine aggiungo una testimonianza del 1799. Sul «Corriere di Europa» (Na- poli), n. 21, 7 aprile 1799, p. 169 leggo un proclama di Reinard, commissario francese nell’ex granducato di Toscana: «La bandiera tricolore ondeggia sulle no- stre mura, e il sacro albero della Libertà adorna le nostre contrade. Pisa, Livorno, Portoferrajo, Siena, Arezzo, Pescia, S. Miniato, Patria dei Progenitori dell’im- mortale BONAPARTE, aveano già dato alla Centrale [la Repubblica francese]
3 ) l'esempio dell’entusiasmo» ecc.
16 L'opuscolo è segnalato da Raffaello Uccelli, Contributo alla bibliografia della Toscana, Firenze,
Successori B. Seeber Libreria Internazionale, 1922, p. 3, n. 57 (rist. anastatica di Arnaldo Forni, Sala
Bolognese, 1980). In tutto il mondo esiste in unica copia nella sola Biblioteca Nazionale Sagarriga- Visconti-Volpi di Bari (collocaz. Busta A. 142/12, inv. 109775)
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Considerazioni intorno ad alcune immagini che ritraggono la città di San Miniato realizzate nel tempo
LUCA MACCHI
L'insediamento di San Miniato prima di assumere l’aspetto e le dimensioni che oggi conosciamo, prima ancora di assumere il nome attuale e di essere dichiarata città, è stata un villaggio etrusco e poi romano. Di questa precedente fase ci parla- no i reperti provenienti dalla necropoli etrusca di Fontevivo, le iscrizioni lapidee, le monete, le sculture superstiti del periodo romano rinvenute sui colli dove si è sviluppata la città. In merito all'evoluzione architettonica e urbanistica di San Miniato esistono vari studi tra i quali è di fondamentale importanza quello della professoressa Maria Laura Cristiani Testi dal titolo “San Miniato al Tedesco”!. La studiosa ricostruisce la crescita della cittadina a partire dall'VIII secolo con lo sviluppo degli insediamenti umani sul “Monte Sancti Miniati” attraverso una serie di piantine che mostrano la progressiva estensione dell’abitato e del circuito delle mura difensive?. Attraverso queste ricostruzioni grafiche vediamo l’abitato crescere e modellarsi seguendo l'andamento del crinale tufaceo fino ad assumere le dimensioni attuali. Grazie a questo tipo di ricerche abbiamo chiaro quale sia stato lo sviluppo della cittadina in pianta. Se lo sviluppo in pianta risulta più agevole da seguire più difficoltoso è avere immagini che mostrano l’aspetto di San Miniato quando, munita delle sue fortificazioni, era una delle principali fortezze del Sacro Romano Impero e poi della Repubblica Fiorentina.
San Miniato ha dovuto la sua fortuna alla posizione geografica. Sorge infatti su una balza tufacea che si innalza, quasi improvvisa, sul margine sud della pianura dell'Arno raggiungendo l'altezza di quasi 200 metri di altitudine nella parte più alta, un punto di osservazione invidiabile che offre una visione a 360 gradi del ter- ritorio equidistante dalle principali città della Toscana. Lo sviluppo di San Miniato è avvenuto anche per il fatto di trovarsi in prossimità della confluenza di grandi vie di comunicazione dell’epoca: la via Francigena e la via Romea, senza dimenticare la via fluviale offerta dall’Arno. Una posizione che non sfuggì agli imperatori svevi che la scelsero come residenza dei loro Vicari Imperiali. Una capitale amministrativa, capace di offrire la possibilità di ospitare truppe militari, che viene dotata di mura e torri possenti. Intorno al castello imperiale, arroccato sulla parte più elevata del colle, si sviluppa una cittadina suddivisa in Terzieri e Contrade dove anche i grandi ordini religiosi hanno edificato importanti conventi.
! M.L. Cristiani Testi, San Miniato al Tedesco, ed. Marchi e Bertolli, Firenze 1967.
2 Altri testi di riferimento sullo sviluppo degli insediamenti del nostro territorio e dell'abitato di San Miniato sono “Dietro i nostri secoli” di Francesco Dini, “San Miniato, vita di un'antica città” di Dilvo Lotti e più recentemente “San Miniato forma urbis” di Luigi Latini.
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Una delle vedute più antiche che probabilmente mostra il castello di San Mi- niato nel XIV secolo è quella che Maria Laura Cristiani Testi pubblica nel suo volume “San Miniato al Tedesco” indicando, senza mezzi termini, il titolo “Ve- duta di San Miniato” e usando questa immagine anche per la copertina del volu- me stesso. Il dipinto è attribuito ad Ambrogio Lorenzetti e ha per soggetto una veduta di città, che oggi si trova nella Pinacoteca di Siena. Anche Dilvo Lotti nel suo “San Miniato, vita di un'antica città” inserisce questa veduta come probabile rappresentazione della San Miniato trecentesca. Possiamo notare che, nella visio- ne astratta e poetica, che gli artisti medioevali ci restituiscono nelle raffigurazioni delle città, questa veduta ci sembra avere varie corrispondenze con il probabile aspetto della San Miniato dell’epoca. Il mare potrebbe essere messo come punto di orientamento, oppure potrebbe essere la sponda del fiume Arno. Su questa tavoletta dipinta conservata alla Pinacoteca di Siena non tutti sono concordi sul fatto che la città raffigurata possa essere San Miniato. Altri storici sostengono che sia la raffigurazione della città e porto di Talamone. Altri ancora attribuiscono questo dipinto a Stefano di Giovanni di Consolo detto “il Sassetta”.
Una fonte, certo non proprio attendibile per le raffigurazioni di cittadine del Trecento, sono i codici che raccolgono fatti di cronaca. I fatti di cronaca sono spesso accompagnati da miniature che illustrano quanto riportato nei testi. Un testimone diretto delle vicende samminiatesi della seconda metà del XIV secolo fu il lucchese Giovanni Sercambi che le annotò nelle sue “Croriche”. La cronaca relativa all'episodio che vede Benedetto Mangiadori introdursi nel castello di San Miniato nel 1397 è accompagnata da una miniatura che mostra quei fatti sto- ricamente avvenuti a San Miniato. Nella miniatura il nome della città è scritto sulle mura del castello. L'immagine che viene resa di San Miniato è naturalmente simbolica, come avviene di solito in questi casi, ma ci sembra con una certa attinenza la raffigurazione dell'alto Palazzo dei Vicari e anche nella parte più fortificata sullo sfondo. Questa “cronaca” narra di quando Benedetto Mangiadori “con uno suo figliuolo, con circha XVIII compagni per suscitare romore” entrarono in San Miniato ‘per dare il dicto Saminiato” al duca di Milano. Raggiunto il Palazzo dei Vicari uccisero il vicario Davanzato Davanzati e lo gettarono dalla finestra?.
Nel Museo Diocesano di San Miniato è conservata una bella tavola cuspidata raffigurante “San Gerolamo che traduce la Bibbia”, opera di Cenni di Francesco di Ser Cenni databile al 1411. La tavola con la sua predella proviene dalla chiesa dei Santi Jacopo e Lucia, annessa al convento dei domenicani, ed era parte di un grande polittico. E questa una delle opere più belle di Cenni di Francesco che a San Miniato ha lavorato anche nella Sala del Consiglio del Palazzo Comunale realizzando l'affresco raffigurante la Vergine, il Bambino e le Virtù nella Sala del Consiglio. Nella tavola del San Gerolamo il Cenni rappresenta il santo nel suo studio intento a tradurre la Bibbia. Rappresentato come un copista del tempo, il santo è seduto e impugna con la mano destra lo stilo per scrivere mentre nel- la sinistra ha una lama per cancellare gli eventuali errori. In basso, come vuole l'iconografia del santo, sta il leone ferito. Nella parte in alto del dipinto, corri- spondente alla cuspide, Cenni di Francesco dipinge alcune architetture. Queste architetture, come spesso si usava, rappresentavano il luogo per la quale l’opera
Vedere anche Smartarc di Francesco Fiumalbi.
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era stata dipinta. Se osserviamo l’edificio sacro rappresentato vediamo che ha un ingresso laterale che tanto ci ricorda l’antico ingresso della chiesa dei Santi Jacopo e Lucia (comunemente detta San Domenico) quando questo si trovava all’inizio del percorso oggi chiamato Via Angelica.
Il XIV secolo è il secolo dei grandi cantieri, degli ampliamenti di edifici con- ventuali sorti intorno al castello. In questo secolo il borgo raggiunge l'estensione che va dal fortilizio che comprendeva la chiesetta di Santa Maria al Fortino, in località “le colline”, fino alla chiesa di Santa Caterina annessa al convento degli Agostiniani in località Poggighisi. Praticamente la San Miniato di oggi.
L'aspetto raggiunto dalle cittadina nel corso del XIV secolo si manterrà presso- ché inalterato .. al XVI secolo. Nel corso del XVI secolo le linee architettoniche dettate dal Rinascimento si diffondono anche a San Miniato e le famiglie nobili e facoltose costruivano o ammodernavano le loro dimore dando unitarietà alle loro proprietà con facciate unitarie e sostituendo le antiche bifore gotiche decorate da cotto stampato, con grandi finestre lunate circondate da bozze di pietra serena. Uniformavano le case di loro proprietà sotto un'unica facciata con marcapiani e logge dalle eleganti colonne in pietra serena secondo lo schema imponente dettato dal Palazzo di Ugolino Grifoni. E in questo periodo che l’antica fortezza imperiale inizia ad assumere, poco a poco, l'aspetto di una piccola capitale con palazzi dalle armoniche facciate.
Un dipinto riferibile al terzo decennio del XVI secolo raffigura la Madonna con il Bambino dormiente, opera da sempre attribuita a Francesco d’Agnolo Lan- franchi, detto Lo Spillo, fratello di Andrea del Sarto. Al Lanfranchi si devono alcuni dei dipinti inseriti nell’altare ligneo della Cappella del Palazzo Comunale e lo sportello raffigurante Cristo Risorto oggi nel Santuario del SS.mo Crocifisso. Lo Spillo è anche autore della tavola raffigurante La Pietà nella Cattedrale”. Nella Madonna con il Bambino dormiente, custodita nel Museo della Arciconfraternita di Misericordia di San Miniato’, opera da studiare attentamente, è apprezzabile una certa morbidezza del modellato del Bambino e, particolarmente interessante, il paesaggio sullo sfondo che ci mostra una veduta di San Miniato con le sue for- tificazioni così come doveva apparire nei primi decenni del XVI secolo. Notiamo anche la presenza di un ponte che Dilvo Lotti identificava con un ponte romano poi andato perduto.
Questa veduta di San Miniato attribuita allo “Spillo” è la prima, in ordine cronologico, delle vedute a noi giunte realizzate nel corso del XVI secolo. Il Lan- franchi esegue questo dipinto pochi anni prima dell’assedio spagnolo del 1529 e quindi con le fortificazioni ancora in funzione. Di Francesco Lanfranchi non risultano più notizie dopo il duplice assedio spagnolo del 1529 e del 1530.
4 G. Piombanti: “la cappella dove ora è il Santissimo, nella crociata, è sacra alla Vergine addolo-
rata, ed ha sull'altare un quadro, nel quale, l’anno 1528, Francesco Lanfranchi colorì /a pietà. Nel 1851 venne restaurata.” Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pag. 88. Nel corso dell'ultimo restauro della tavola è stata scoperta sul retro la scritta autografa dello Spillo, in D. Lotti, “San Miniato, Vita di un'antica città”, Sagep, Genova 1980.
© Un biglietto incollato sul retro del telaio riporta la scritta che ci informa della provenienza dell’opera nella collezione della Venerabile Arciconfraternita:“Questo giorno 28 ottobre 1861 alla Venera- bile Arciconfraternita della Misericordia Stanislao Pecchioli dona”.
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L'inizio del mutamento architettonico e urbanistico di San Miniato si ha a partire dal 1555 con la costruzione del Palazzo di Ugolino Grifoni ad opera di Giuliano di Baccio d’Agnolo e la creazione della piazza antistante’. Dalla docu- mentazione conservata nell'archivio della Famiglia Grifoni troviamo che il pa- lazzo era quasi completamente edificato nel 1554 ma che venne definitivamente ultimato nel 1573”. La costruzione subì interruzioni, ma poté proseguire grazie al permesso concesso da Cosimo I di usufruire del materiale edilizio tratto dalle vecchie fortificazioni. Le antiche mura del castello ormai in disuso non servivano più e dunque, sia pure in via eccezionale, vi si poteva attingere per la nuova co- struzione. È questo uno dei primi episodi in cui viene permesso di usare la grande quantità di materiale che potevano fornire le fortificazioni per nuove importanti costruzioni. Il modello dettato da Giuliano di Baccio d’Agnolo dal prospetto di Palazzo Grifoni viene ripreso, anche se in modo meno imponente, dalle altre famiglie nobili di San Miniato desiderose di ristrutturare le loro dimore secondo il nuovo stile architettonico.
Negli stessi anni a Firenze Cosimo I sceglie Palazzo Vecchio come residenza della sua corte dando così inizio ad una serie di modifiche interne che si svolgono dal 1555 al 1572.
Il Salone dei Cinquecento diviene il luogo di rappresentanza del governo del Granducato. Nei lavori di rifacimento delle decorazioni del Salone, diretti da Giorgio Vasari, è compresa anche la realizzazione del soffitto ligneo eseguito tra il 1563 e il 1565. La superficie dell'intero soffitto viene suddivisa con 42 riqua- dri. Giorgio Vasari si avvalse di una serie di pittori tra i più in vista della Firenze del tempo quali Giovanni Stradano, Jacopo Zucchi, Giovanni Battista Naldini, Santi di Tito, Ridolfo del Ghirlandaio solo per citarne alcuni. alcuni dei riquadri del grande soffitto hanno per soggetto le allegorie dei vari Vicariati nei quali era suddiviso il territorio del Granducato di Toscana.
Nel riquadro dedicato al Vicariato di San Miniato viene dipinto lo stemma della comunità e il panorama della città dove sono raffigurate con estrema preci- sione le fortificazioni, le torri allora presenti e il convento di San Francesco.
Lo stesso Vasari nei “Ragionamenti” scrive di aver dipinto l’ “Allegoria di San Miniato” nel soffitto del Salone dei Cinquecento. Il pannello dedicato a San Mi- niato è dunque opera di Vasari con la lode di Jan Van Der Straet meglio conosciuto come Giovanni Stradano.
Nella monumentale chiesa di San Francesco a San Miniato il primo altare sul lato sinistro di chi entra è di patronato della famiglia Mercati. Sull’altare domina la tela, opera di Bartolomeo Sprangher (Anversa 1546 — Praga 1611) raffiguran- te San Michele Arcangelo che vince il demonio. Sullo sfondo della composizione, sulla parte sinistra di chi guarda, possiamo notare la rappresentazione del cassero federiciano di San Miniato ancora intatto così come doveva certamente apparire
6... Monsignor Ugolino Grifoni, samminiatese, personaggio molto importante del suo tempo, fa
costruire i suoi palazzi a Firenze e a San Miniato. Si deve a lui anche la costruzione della cappella di famiglia nella chiesa di San Domenico dove vorrà essere sepolto. Per l’altare della Cappella di famiglia commissiona la bella pala della Deposizione a Francesco Morandini, detto i/ Poppi (Poppi, 1544 — 1597) che viene collocata nel 1572. Commissiona il proprio ritratto a Scipione Pulzone, detto il Gaetano (1550-1598).
7 D. Stiaffini, L. Macchi, “Il Palazzo Grifoni di San Miniato”, Edizioni ETS, Pisa 2007.
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nella seconda metà del XVI secolo. Bartolomeo Sprangher giunge a Roma nel 1566, dove lavora per il cardinale Alessandro Farnese, che lo impegnò anche nella decorazione del Palazzo di Caprarola. Questa veduta di San Miniato nella pala di Bartolomeo Sprangher sull'altare della famiglia Mercati è collegata ad un’altra veduta, molto simile, presente nei Palazzi Vaticani.
Quella che si trova nella Galleria delle Carte Geografiche nei Palazzi Vaticani a Roma è forse la più famosa delle vedute di San Miniato.
La Galleria delle Carte Geografiche venne realizzata tra il 1580 e il 1585 per volere di Papa Gregorio XII de affidò la direzione dei lavori a Ignazio Danti, importante matematico, astronomo e cartografo del tempo. Le sue indicazioni furono messe in pratica da una serie di artisti quali: Girolamo Muziano, Cesare Nebbia, Giovanni Antonio Vanosino (da Varese), Antonio Danti. La volta della Galleria è dipinta da Antonio Tempesta da Firenze e dai fratelli Matthijs e Paul Bril. Il Danti concepisce il percorso della Galleria come se l'osservatore stesse camminando sul crinale dei Monti Appennini e dunque fa affrescare su di un lato del corridoio le regioni che si affacciano sul Mar Ligure e sul Mar Tirreno, mentre sull'altro lato le regioni bagnate dal Mar Adriatico.
La rappresentazione di San Miniato si trova nell’affresco raffigurante la carta geografica della Toscana ed è certamente una dimostrazione della considerazione verso la città e verso i suoi illustri cittadini Pietro Mercati e suo figlio Michele che in quegli anni ricopriva importanti incarichi in Vaticano*. Mida era interessato alle scienze naturali, in particolare alla botanica ed alla mineralogia, oltre che alla paleontologia ed all'archeologia. Gregorio XIII gli affidò il compito di fondare la collezione naturalistica, soprattutto mineralogica, dei Musei Vaticani, allora una delle migliori d'Europa. A San Miniato Michele Mercati fondò il Monastero del- la SS.ma Trinità delle suore Agostiniane nel quale entrano due sue sorelle. Morì a Roma il 25 Giugno 1593.
La veduta inserita nella pala di San Michele Arcangelo di Bartolomeo Spran- gher insieme a quella della Galleria delle Carte Geografiche dei Palazzi Vaticani ci confermano delle effettive condizioni delle fortificazioni di San Miniato alla fine del Cinquecento. Da questi esempi dell’epoca proviene anche la veduta nella attuale Sala del Consiglio del Palazzo Comunale di San Miniato, realizzata nei primi anni trenta del Novecento dal Canonico Francesco Maria Galli — Angelini.
Ancora nella chiesa di San Francesco esiste un’altra veduta di San Miniato. Il secondo e il terzo altare alla sinistra di chi entra sono storicamente di patronato della Famiglia Buonaparte. Sul secondo altare, proprio dopo l’altare della Fami- glia Mercati, si trova una tela di Carlo Bambocci, eseguita nel 1691, che mostra un tema composito costituito da almeno tre piani. In primo piano stanno le figu-
8. In breve possiamo riassumere che Michele Mercati nasce a San Miniato il 6 Aprile 1541 dal
medico Pietro e da Alfonsina Fiamminga o Flaminga. Il nonno, che portava lo stesso nome, apparte- neva al circolo umanistico fiorentino di Marsilio Ficino. Il padre, Pietro Mercati, era stato archiatra pontificio di Pio V e Gregorio XIII. Seguendo le orme paterne e divenne dottore alla Facoltà delle Arti ed in Medicina presso l’Università di Pisa. Ad appena vent'anni fu chiamato alla corte papale da Pio V, probabilmente su suggerimento di Cesalpino, per ricoprire l’incarico di Prefetto dell’Orto botanico di Roma, incarico che mantenne fino alla morte, durante i papati di Pio V, Gregorio XIII, Sisto V e Clemente VIII. Sisto V lo nominò Protonotaro Apostolico ed in tale veste partecipò a due ambascerie, rispettivamente in Polonia e Boemia.
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re dei Santi Giovanni Battista e Miniato. In un piano successivo sta la scena della Visitazione e, in prospettiva, Il martirio di Miniato. La visitazione e il martirio sono le scene principali e Carlo Bambocci le dipinge una accanto all’altra nella parte centrale della tela. La parte alta del dipinto è dedicata ad una veduta di San Miniato e delle sue fortificazioni vista dalla contrada di Poggighisi così come do- veva ancora apparire nella seconda metà del Seicento. Nella tela dell’altare viene rappresentata la scena del martirio di Miniato perché l’altare segna, tradizional- mente secondo anche quanto scrive Dilvo Lotti, “l'ubicazione lui sacro sacello” della chiesetta dedicata al martire Miniato che venne donata a Francesco d’Assisi al suo passaggio dalla città.
Il XVII secolo porta la grande novità della elevazione di San Miniato a sede vescovile. L'autonomia della quale godevano i Vicari del vescovo di Lucca presen- ti a San Miniato si traduceva adesso in dignità vescovile. Una prima assegnazione territoriale concedeva alla nuova diocesi samminiatese anche la cittadina di Alto- pascio, arrivando così alle porte della stessa Lucca. Fu Mons. Andrea Buonaparte, primo Amministratore Apostolico ad effettuare un ridimensionamento dei confi- ni al fine di una migliore organizzazione del territorio. L'istituzione della diocesi ha significato per ib capoluogo l’inizio di una nuova fase nel corso della quale l'abitato assunse un nuovo e definitivo aspetto. Nuovi edifici si resero necessari per assolvere a nuovi compiti. Nel 1660 si inizia la costruzione del Seminario Ve- scovile che seguirà l'andamento perimetrale delle mura della cittadella. Nel 1713 si conclude la costruzione del Santuario del SS.mo Crocifisso: due importanti elementi architettonici nuovi che si inseriscono nel profilo della città.
Ed è una bella veduta di San Miniato, vista da sud e incisa all’acquaforte, ad aprire il volume dedicato al VII Sinodo Diocesano del 1707. La città è rappresen- tata sullo sfondo, incorniciata da una architettura dove un tendaggio svolazzante è scostato da un putto che offre la vista della città che sta assumendo l’aspetto che noi oggi conosciamo. Molto interessante è il particolare del palazzo del Seminario Vescovile che sta prendendo il posto delle antiche mura merlate della cittadella. Il Santuario del SS.mo Crocifisso non corrisponde totalmente all'aspetto perché al momento dell’esecuzione dell’incisione era stato presentato un progetto a pianta centrale ma non ancora a croce greca.
Da un disegno del 1710, allegato a una causa, conservato nell'Archivio Stori- co del Comune di San Miniato, ci proviene, ultimo riflesso di luce sulle antiche mura, la veduta della parte alta delle fortificazioni viste dal lato nord. È un dise- gno molto importante perché ci mostra ancora esistenti la torre delle Cornacchie e la disposizione delle mura del cassero federiciano. Molte vedute della cittadina privilegiano il lato sud, mentre da nord non ci sono immagini d’epoca che mo- strino chiaramente gli edifici presenti intorno alla piazza del Duomo. Questo disegno del 1710 ci offre un'ultima veduta di ciò che resta del castello dove è ancora possibile vedere le mura ancora esistenti, anche se sbrecciate, che univano la torre del Palazzo dei Vicari con la Torre delle Cornacchie?.
Una veduta quanto mai precisa e minuziosa di San Miniato è quella conserva- ta dalla Accademia degli Euteleti. Anche questa veduta mostra la città vista da sud
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Si tratta della “Veduta della frana sulla via del Poggio”, disegno allegato a una causa, ASCSM Cancelleria di San Miniato, Atti in causa, 3708, 105.
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e riporta con estrema precisione i principali edifici storici, le piazze e le cisterne, tanto da sembrarne un censimento. È un acquarello e da quanto è mostrato po- trebbe risalire al XVIII secolo. Gli elementi da notare sono il santuario del Croci- fisso con la scalinata già realizzata, il seminario vescovile ancora non completato, il monumento a Leopoldo II non ancora presente nella Piazza Buonaparte.
Due vedute di San Miniato sono presenti nel “Viaggio pittorico della Toscana”!° dell'Abate Francesco Fontani, pubblicazione realizzata nel 1817. Il Viaggio pittorico della Toscana è un’opera in sei volumi, il cui scopo era quello di costituire un corpus delle principali città della Toscana. L'opera comprende la carta geografica della Toscana, le piante delle principali città e le vedute delle città nobili. Alla città di San Miniato sono dedicate due vedute. La prima è un panora- ma visto da sud che mostra parti ancora intatte di mura e torri nella sua parte più alta. L'altra veduta è dedicata alla Cattedrale con sullo sfondo la cupola, questa volta raffigurata fedelmente, del Santuario del SS.mo Crocifisso. Possiamo notare che mentre nella veduta della Cattedrale si vede benissimo la mole del Santuario, questo è assente nell’incisione che mostra il panorama della città.
Nella Piazza oggi Buonaparte si svolge la scena rappresentata nel dipinto di Egisto Sarri dell’arrivo di Napoleone Buonaparte a San Miniato il 29 Giugno 1796. Come sappiamo Napoleone salì a San Miniato a fare visita al Canonico Filippo Buonaparte . Il quadro venne eseguito dal Sarri in occasione dei cento anni dall’avvenimento. Esatta è la collocazione del pozzo al centro della piazza che verrà tolto nel 1844 per fare posto al monumento al Granduca Leopoldo II.
Nel 1896, quando Egisto Sarri realizza questo dipinto, l’immagine di San Miniato inizia ad essere ll. non più soltanto attraverso l’interpretazione sog- gettiva di pittori e incisori bensì con un nuovo mezzo in grado di restituire una visione oggettiva e razionale della realtà: la fotografia.
Le più antiche immagini fotografiche di San Miniato di cui oggi siamo a co- noscenza si devono a Filippo Del Campana — Guazzesi e riportano la data 1896. Un corpus di immagini in bianco e nero che rende evidente non solo l'aspetto della cittadina e dei suoi monumenti ma anche la vita che scorre nelle sue vie attraverso i mercati, le processioni, i volti dei sanminiatesi del tempo!!.
Nel Novecento San Miniato continuerà ad essere fissata da dipinti e da fo- tografie con intenti diversi. Adesso la fotografia ne rende l’aspetto oggettivo e i pittori sono liberi di immergere il panorama e gli edifici della cittadina in mondi sognanti e senza tempo dove quello che conta non è tanto la resa somigliante delle cose quanto il racconto individuale. I Pittori la immaginano immersa nel loro mondo ora di favola, ora surreale, nel plasticismo, nell’astratto. Nel corso del Novecento gli artisti non si preoccuperanno più di mostrare l'aspetto corretto della cittadina ma si sentiranno liberi di coglierne gli aspetti più diversi, di im- mergerla nel loro mondo, di interiorizzarla e di interpretarla secondo il personale temperamento. Il Novecento è il secolo delle Avanguardie, è il secolo nel quale le arti visive si sono rigenerate in un alternarsi di nuove correnti e di riscoperte
!0° Francesco Fontani “Viaggio Pittorico della Toscana” 1817 - incisioni di Antonio Terreni (Tomo
4 pagina 229). !! Giuseppe Marcenaro, “Il silenzio del negativo — Filippo Del Campana Guazzesi fotografo in San Miniato”, Cassa di Risparmio di San Miniato, 1981
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della tradizione. Così la cittadina di San Miniato, con il suo profilo scolpito dalla storia, con i suoi monumenti, ha continuato ad essere soggetto di pittori, incisori, scultori con una apertura alle nuove arti come il cinema e il fumetto. A questo proposito in questa sede basta fare il nome dei registi Paolo e Vittorio Taviani e di Boll Benvenuti, mentre per il fumetto ricordiamo il numero di Topolino.
Per concludere
- Esiste una veduta di San Miniato che è pura illusione. L'ho guardata per anni. È un particolare dell’affresco di Antonio Domenico Bamberini nella ascensione di Cristo dipinto sulla cupola del santuario del SS.mo Crocifisso a San Miniato. Per anni mi sono seduto sulle panche del santuario e guardando la decorazione della cupola, a quindici — venti metri da terra, vedevo quel profilo con le due torri “E San Miniato. San Miniato nel secondo decennio del Settecento”, mi dicevo. Ma me lo tenevo per me. Controllavo la distanza tra le due torri, la loro diversa altez- za e mi ripetevo “E San Miniato”. A distanza di tempo ritornavo sulle panche del- la chiesa, cambiavo posto, e guardavo sempre in quel punto e la mia convinzione, volta dopo volta, aumentava. Il Bamberini ha realizzato tutta la decorazione del Santuario del SS.mo Crocifisso, ma ha lavorato anche nella cattedrale di San Mi- niato, e poi nelle chiese di San Domenico, di San Paolo, della SS.ma Annunziata, di Santa Chiara e in molte altre chiese della diocesi realizzando dipinti e affreschi. E mi convincevo che quel piccolo paesaggio nella cupola era un omaggio che lui dedica alla città che gli ha portato tanto lavoro. Ho pensato di andare lì con un cannocchiale, ma aspettavo. Qualcosa mi diceva che non poteva essere. Mi chiedevo: Quella scena dell’ascensione di Cristo in Paradiso tra gli angeli e con gli apostoli che osservavano poteva includere il panorama di una città precisa? Il panorama di San Miniato? Qualcosa mi diceva di no. Il Bamberini avrà pensato che dal pavimento nessuno ci avrebbe fatto caso, nessuno avrebbe fatto caso a quel profilo così lontano e così piccolo. Poi finalmente mi sono deciso e con Flavia e la sua macchina fotografica con teleobiettivo siamo andati al Santuario e scattato alcune foto. Le foto um mostrato che quelle che da terra sembravano le due torri sono in realtà due bellissimi ciuffi d'erba. Un po’ sono rimasto deluso. Anche se adesso sono convinto che Anton Domenico, con il suo virtuosismo, con la sua estrema conoscenza della prospettiva, in quell’immagine voleva effettiva- mente farci vedere San Miniato... vista da lontano... ma una volta arrivati vicini il miraggio svanisce, l’immagine si dissolve.
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1 - Ambrogio Lorenzetti, Veduta di città Tempera su tavola, cm. 22,5x32,5 Siena, Pinacoteca.
TE e E re ren RSI LEVATE OLONA img Palucha che andonno uezfto fiminiaro «Come-benedto man entro inf ato cuafi-loviazo elfigluolo :
2- Giovanni Sercambi, cronaca CCCCXVIII, “Come Benedecto Mangiadori entrò in Saminiato e uccise lo Vicario e *l figluolo”.
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3- Cenni di Francesco, 1411 c. Sar Gerolamo nello studio che traduce la Bibbia, tempera su tavola cuspi- data, Museo Diocesano d’Arte Sacra di San Miniato (dalla chiesa dei Santi Jacopo e Lucia).
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4- Francesco Lanfranchi, detto “Lo Spillo”, sec. XVI. Madonna con il Bambino Olio su tela, cm.118x86 Museo della Arcicofraternita di Misericordia di San Miniato.
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Sl Lim inaunfi fp un ndo Dif sudo? na Rege posti Federicon ica per N Slim fees Afodcfcanune uulgowotitatum
5- Veduia del Cassero di San Miniato, 1580 - 1585 Affresco, Galleria delle Carte Geografiche, Palioni
Vaticani.
6- Bartolomeo Spranger, (Anversa 1546 — Praga 1611) San Michele Arcangelo, (particolare con la veduta delle fortificazioni della Rocca) olio su tela, Altare Famiglia Mercati, Chiesa di San Francesco, San Mi- niato. Collocazione originale.
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Considerazioni intorno ad alcune immagini che ritraggono la città di San Miniato realizzate nel tempo
7- Giorgio Vasari e Jan Van Der Straet (Giovanni Stradano), 1563 - 1565 Allegoria di San Miniato Olio su tavola, Soffitto del Salone dei Cinquecento, Palazzo Vecchio, Firenze.
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Luca Macchi
8- Carlo Bambocci, La Visitazione tra i santi Giovanni Battista e Miniato (particolare della veduta della Rocca) Olio su tela, altare Famiglia Buonaparte, 1691 collocazione originale, Chiesa dei Santi Francesco e Miniato, San Miniato.
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Considerazioni intorno ad alcune immagini che ritraggono la città di San Miniato realizzate nel tempo
9 — Incisione per l’antiporta del volume del Sinodo del 17
Luca Macchi
10 — Veduta della frana sulla via del Poggio, 1710, disegno allegato a una causa ASCSM Cancelleria di San Miniato, Atti in causa, 3708, 105.
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Considerazioni intorno ad alcune immagini che ritraggono la città di San Miniato realizzate nel tempo
12 - Veduta della città di San Miniato, sec. XVIII Acquerello su carta riportato su tela, Accademia degli Euteleti, San Miniato.
HST -
-- - -- “ga a Pe de a _, rel 13 — Egisto Sarri, 1896 Napoleone Buonaparte arriva dal Canonico Filippo Olio su tela, Credit Agricole.
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Luca Macchi
Mi, "an Rina == SLA - Renon pra ni ae» pi
14 — Antonio Domenico Bamberini, L'Ascensione, 1717. Affresco, cupola del Santuario del Ss.mo Crocifisso, San Miniato.
15 - Anton Domenico Bamberini. Particolare dell’affresco della cupola.
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
SAVERIO MECCA
Premessa
Queste note nascono da una esperienza recente: nel 2021 ho seguito, in rap- presentanza dell’Università di Firenze, la creazione dell’Osservatorio delle Politi- che Urbane e Territoriali presso il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavo- ro, CNEL; con il ruolo di coordinatore dell’Osservatorio, insieme al Consigliere CNEL Maurizio Savoncelli abbiamo organizzato sei seminari ai temi dei cambia- menti e transizioni dedicati alla filiera del legno e del bosco e alle diseguaglianze di genere, generazionali e territoriali in relazione al benessere e alla crescita equa e ea hile
Abbiamo scelto il tema delle della riduzione delle diseguaglianze perché il Pia- no Nazionale di Ripresa e Resilienza (in seguito PNRR) lo pone come un obietti- vo generale e una priorità trasversale dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (in seguito PNRR), e, sia pure implicitamente, individua nella prossimità e nella generatività due condizioni essenziali per la gestione delle transizioni ecologiche, digitali e demografiche dell’Italia.
Il PNRR indica come priorità il recupero dei ritardi storici penalizzanti che riguardano /e persone con disabilità, i giovani, le donne e il Sud. L'assunto di base è che per essere efficace la ripresa dell’Italia, ovvero la crescita economica e sociale sostenibile, deve dare pari opportunità a tutti i cittadini, soprattutto quelli che non esprimono il loro potenziale, superando le diversità che generano disegua- glianze. Nel quadro delle sei missioni il PNRR indica come prioritarie le azioni trasversali relative alle pari opportunità generazionali, di genere e territoriali. Le missioni, si afferma, saranno ‘valutate sulla base dell'impatto che avranno nel recu- pero del potenziale dei giovani, delle donne e dei territori e nelle opportunità fornite a tutti, senza alcuna discriminazione.”
Secondo il PNRR dalla persistenza dei divari territoriali, da una più debole prossimità dei servizi essenziali, sia per abitare che per produrre, derivano minori opportunità di formazione e di lavoro e “la crescita dell'emigrazione, in particolare giovanile e qualificata, verso le aree più ricche del Paese e verso l'estero. Questo genera un ulteriore impoverimento del capitale umano residente al Sud (e nelle aree interne) e riduce le possibilità di uno sviluppo autonomo dell'area“.
Questa riflessione sulla riduzione delle diseguaglianze e sulla crescita di un benessere equo e sostenibile deve misurarsi con un cambiamento e tre transizioni epocali: il riscaldamento globale e il suo effetto di cambiamento del clima, dei tanti e diversi climi sulla terra, e le transizioni ecologiche, digitali e demografiche. In questo quadro per costruire un percorso per una nuova società equa e soste- nibile dobbiamo avere una visione sistemica e innovativa della complessità degli
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Saverio Mecca
ecosistemi umani e naturali, unita ad un paradigma radicale sulla salute di tutti gli esseri viventi che ci orienti nelle azioni e nei progetti giorno per giorno.
In questi ultimi anni è emersa da tante voci, non ultima la stessa Enciclica “Laudato sii”, l'esigenza di rivedere in modo critico il processo di sviluppo indu- striale/urbano degli ultimi due secoli, un processo che sfrutta in modo crescente le risorse naturali, umane e culturali, cambia la geografia dei luoghi, altera la relazione delle comunità e delle persone con la natura la propria storia, genera emissioni alteranti l’ambiente e la vita e la salute di tutti gli esseri viventi, riduce la diversità biologica e costituisce esso stesso un fattore determinate (in misura maggiore o minore secondo le diverse analisi) del riscaldamento globale.
Un esempio: le diseguaglianze territoriali, così drammaticamente cresciu- te negli ultimi decenni in tutto il mondo, hanno determinato l'aumento della pressione demografica e della concentrazione nelle aree urbane “forti” in tutto il pianeta'; ma l'inurbamento a sua volta incrementa non solo la diseguaglianza territoriale, ma anche la necessità di destinare risorse aggiuntive necessarie per mitigare la non sostenibilità dei sistemi “densi” urbani, accentuando in tal modo le cause della diseguaglianza con le aree “deboli”. Le molteplici non sostenibilità determinate dalla concentrazione degli insediamenti si manifestano in tutte le di- mensioni ambientali fondamentali, quali acqua, aria, suolo, energia rinnovabile, diversità, e genera dinamiche autoalimentate e incrementali per tutti processi di gestione (trasporto pubblico, trasporto privato, servizi infanzia e scolastici, servizi sanitari, residenza, etc.).
Il PNRR in sostanza pone con forza al centro della sua visione e strategia il tema della questione delle regioni meridionali e delle “aree interne” non in termini assistenziali, ma di apertura di una competizione territoriale con le aree metropolitane, di creazione delle condizioni necessarie perché possa avviarsi una crescita economica e sociale più intensa e diffusa, capace di riequilibrare le società e i territori a favore delle aree indebolite, recuperando il loro potenziale inespres- so generato dalle diseguaglianze stesse.
Cambiamenti e transizioni epocali che ci attendono ci chiedono di pensare e costruire, giorno per giorno, un nuovo modo di abitare, produrre, vivere che possa assicurare un benessere equamente distribuito e sostenibile e la salute degli
! Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite (UNRIC), UN 75 - I grandi temi: Una demografia che cambia. “.... Fino 4/ 2009, vivevano più persone nelle aree rurali che in quelle urbane. Oggi, circa il 55 per cento della popolazione mondiale vive in paesi e città, con un livello di urbanizzazione che si prevede possa raggiungere quasi il 70 per cento entro il 2050. Gran parte della crescita delle popolazioni urbane coinvolgerà Asia ed Africa, specialmente Cina, India e Nigeria dove i tassi di fertilità rimangono alti.
Come la migrazione, l'urbanizzazione richiede una gestione efficace da parte delle autorità nazionali e locali. Ad oggi, le città occupano meno del 2 per cento del territorio mondiale totale ma producono l'80 per cento del Prodotto Interno Lordo (PIL) globale e oltre il 70 per cento delle emissioni di carbonio. La velocità e la portata dell'urbanizzazione presentano delle sfide rispetto alla possibilità di assicurare abitazioni, infra- strutture e trasporti adeguati, così come i conflitti e la violenza. Quasi un miliardo di persone sono classificate come "poveri urbani”, e la maggior parte vive in insediamenti urbani informali.
Allo stesso tempo, sono necessari maggiori sforzi per garantire che coloro che vivono nelle zone rurali non vengano abbandonati, anche in termini di accesso all'economia e alla società digitale. I piccoli agricoltori, gli allevatori e le comunità locali svolgono un ruolo fondamentale nella produzione del nostro cibo e nella protezione del nostro capitale naturale.” https://unric.org/it/un-75-i-grandi-temi-una-demografia-che- cambia/
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
ecosistemi umani e naturali. Le note successive sono una riflessione su nuovi concetti quali diversità prossimità, urbanità e generatività che possono arricchire il concetto di sostenibilità ed essere di indirizzo per le balinclie a tutte le scale, anche alla scala delle comunità e delle amministrazioni locali.
La sostenibilità nella transizione ecologica e digitale
La centralità del tema della sostenibilità, aperto 50 anni fa da “I limiti dello svi- luppo” promosso dal Club di Roma su impulso di Aurelio Peccei?, è cresciuta dram- maticamente dall’inizio della pandemia COVID-19, sulla base delle tante conferenze internazionali e dei programmi Green Deal e New European Bauhaus dell’Unione Europea. I cambiamenti, dal riscaldamento globale alla crescita demografica e alla globalizzazione, e alle conseguenti migrazioni, ci sollecitano a chiudere il lungo secolo XX° per aprirci ad una nuova visione sistemica della vita sul nostro pianeta, fondata su un equilibrio fra la specie umana e la vita naturale: una visione nuova da costruire e scoprire nei prossimi anni, nuove dimensioni di sostenibilità globale.
Il 25 settembre 2015, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile nella quale si delineano le direttrici delle attività per i successivi 15 anni. I 17 Sustainable Development Goals SDG che compongono l'Agenda 2030 rappresentano il piano di azione globale per sradicare la povertà, proteggere il pianeta e garantire la prosperità per tutti.
Proseguire nello sviluppo economico e sociale, che assicuri il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità di sod- disfare quelli delle generazioni future: è questa la definizione generalmente con- divisa di “sviluppo sostenibile” ovvero la compatibilità tra sviluppo delle attività economiche e salvaguardia dell'ambiente.
I Sustainable Development Goals fanno riferimento a diversi domini dello sviluppo relativi a tematiche di ordine ambientale, sociale, economico ed istitu- zionale, delineando un piano d’azione globale per i prossimi 15 anni.
L'obiettivo 13 “Climate Action” indica che per limitare il riscaldamento a 1,5° Celsius rispetto ai livelli preindustriali, come stabilito dall’Accordo di Parigi, le emissioni globali di gas serra dovranno raggiungere il picco prima del 2025. Quin- di dovranno diminuire del 43% entro il 2030 e azzerarsi entro il 2050. Molti paesi stanno articolando piani d’azione per il clima per ridurre le emissioni e adattarsi agli impatti climatici attraverso contributi determinati a livello nazionale. Tuttavia, gli attuali impegni nazionali non sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C.
La scelta politica di porre la questione dell'ecologia insieme alla smaterializza- zione digitale come transizione è l'evoluzione più recente del percorso verso una nuova società umana di cui siamo solo all’inizio, un processo che produrrà un grande cambiamento analogo a quello del passaggio alla produzione industriale di massa e alla sua prima smaterializzazione operata dall’organizzazione scientifi- ca del lavoro applicata alla produzione e quindi all’organizzazione delle città e dei territori e alla vita delle persone.
2. Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows; Jorgen Randers; William W. Behrens III, Ze Lim- its to Growth, 1972. (traduzione italiana: Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows; Jorgen Randers; William W. Behrens II, / limiti dello sviluppo, 1972.)
3. https://www.un.org/sustainabledevelopment/climate-change/
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Saverio Mecca
Le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) sono diminuite del 5,2% nel 2020 a causa della riduzione della domanda di energia causata dalle interru- zioni sociali ed economiche indotte dal COVID-19. Ma con la graduale elimi- nazione delle restrizioni legate al COVID, le emissioni di CO2 legate all'energia per il 2021 sono aumentate del 6%, raggiungendo il livello più alto di sempre. Complessivamente la riduzione delle attività economiche nel periodo della pan- demia non ha rallentato l'accumulo di biossido di carbonio CO2 e, quindi, non ha influito sull'aumento delle temperature, indicando che la sola austerità non può portarci a un'economia “a emissioni zero”.
La concentrazione di produzione e residenza in ecosistemi metropolitani e urbani contribuisce ad un bilancio ambientale di non sostenibilità, le città con- sentono economie soprattutto di mobilità all’interno del modello novecentesco di concentrazione dell produzione, soprattutto industriale, ma non sono suffi- cientemente sostenibili da ridurre efficacemente l’accelerazione dell'aumento di biossido di carbonio, della temperatura media della superficie del pianeta, deter- minata da un insieme di fattori fra i quali la distruzione sistematica della natura per usi antropici, i disastri naturali e incendi boschivi, le isole di calore, etc.
La transizione ecologica ha quindi bisogno di nuovi modelli di produzione e con- sumo (con relativi indicatori in grado di misurare anche la qualità dell'ambiente e il benessere percepito dalle persone), mentre gli stessi investimenti post-crisi devono porsi come obiettivo quello di accelerare la trasformazione economica ispirandosi ai principi del bene comune e di una nuova generatività equilibrata nei territori.
La transizione ambientale si intreccia con la transizione digitale aprendo pro- spettive del tutto nuove sia sulla relazione fra luogo e tempo nel lavoro, nello studio e in tutte le interazioni sia sulla gestione dei da delle informazioni e delle conoscenze in tutti gli ambiti e in particolare nella gestione di sistemi complessi come gli insediamenti, molto oltre le “smart cities”:
La digitalizzazione introduce una separazione tra prestazione lavorativa e luogo di lavoro; rompendo l’identificazione del lavoro più con il luogo dove si id (il posto di lavoro) che sulle attività che si svolgono. La separazione fra lavoro e luogo di lavoro si abbina alla flessibilità del tempo di lavoro: apre a in- novazioni non solo su spazio e tempo di lavoro, ma su i paradigmi e modelli di organizzazione, di direzione e di leadership che hanno caratterizzato la rivoluzio- ne taylorista-fordista.
La digitalizzazione introduce le nuove potenzialità offerte dai “Big data” ge- oreferenziati, sia di origine satellitare sia di origine di piattaforme distali, dai Digital Twins e dalla Intelligenza Artificiale, possono aprono ad una rivoluzione negli strumenti di pianificazione degli ecosistemi (e anche negli strumenti di governo del territorio) che possono consentire alle comunità di gestire in modo aperto, trasparente e consapevole le informazioni provenienti da fonti molteplici operando sulla stretta relazione fra prossimità, benessere e salute nelle differenze di genere, generazionali e territoriali.
Riscaldamento globale e adattamento
Il tema del riscaldamento globale e di come, in modo caotico, questo modifi- chi il clima nei diversi luoghi è sempre più al centro del dibattito, dell'attenzione e preoccupazione degli organismi internazionali e dei cittadini, anche se vi è tuttora dibattito su credibili e complesse relazioni di causa ed effetto fra i fattori
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
che determinano il riscaldamento globale e fra questo e i climi che influenzano la nostra vita sul pianeta.
L'ecologia ci ha progressivamente introdotto ad una visione scientifica com- plessa, sistemica ed olistica, dell'ambiente e della vita in ogni sua forma, una visione oggi indispensabile per analizzare, modellare e gestire la relazione fra la specie umana e l’ambiente, una relazione che è cambiata e cambia per le tecno- logie di sfruttamento delle risorse naturali, le tecnologie di comunicazione e i processi di industrializzazione/urbanizzazione che si sono sviluppati negli ultimi due secoli.
Se accettiamo una visione radicalmente ecologica, ovvero che la specie umana è una componente di sistemi ambientali complessi, ci rendiamo conto che la stra- tegia primaria è quella che tutte le specie viventi, specie umana compresa, stanno da sempre attuando, ovvero una strategia di adattamento4.
Nell'insieme dei seminari promossi dall’Osservatorio di politiche Urbane e Territoriali è maturata una di sulle politiche territoriali nella transizione ambientale e digitale: la strategia è l'adattamento (la parola “lotta” è del tutto impropria), sia migrando verso condizioni ambientali migliori, sia non migrando ma adattando l’azione e le interazioni dell’uomo con l’ambiente.
Possiamo attuare una strategia di adattamento sia cambiando le interazioni con l’ambiente, ovvero sviluppando le molteplici tecnologie, attuali e future, per ridurre le emissioni e aumentare la circolarità dei processi e modificando in nostri modi di abitare e produrre, sia migrando verso luoghi in cui le condizioni vita in- dividuale e di specie siano più accettabili, ovvero i sia più facile adattarsi con un minore consumo di risorse. Le piante e gli animali lo stanno facendo, anche se non sempre la velocità della migrazione è pari alla velocità del cambiamento del clima. Anche la specie umana lo ha sempre fatto e lo sta facendo: il cambiamento del clima è forse il principale fattore che ha generato e genera le migrazioni.
Le transizioni ecologiche e digitali sono le nuove e necessarie tecnologie per costruire una complessa strategia di adattamento, di modifica della nostra intera- zione con i sistemi ecologici e il pianeta nella loro complessità.
Le politiche urbane che si stanno sviluppando, dalla “smart city” alla rige- nerazione urbana e forestazione urbana, sono finalizzate all’adattamento degli insediamenti densi e strutturati che abbiamo creato negli ultimi tre secoli; l’adat- tamento mediante l’inversione dei flussi migratori verso aree climaticamente più compatibili con la diversità e la salute degli ecosistemi non è ancora nelle agende e nei progetti.
La vera sfida che integra le transizioni con l'adattamento al cambiamento cli- matico è adattare le nostre società al clima che cambia, al riscaldamento globale e locale con i modi e i tempi possibili, mantenendo il livello di benessere 0, meglio, migliorandolo e riducendo le diseguaglianze del benessere per tutti gli esseri uma-
ni, insieme a tutte le altre forme di vita secondo la visione “One Health”.
5 “Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella che si adatta meglio 4 q ‘8
al cambiamento.” Questa frase è stata attribuita a Darwin, ed è basata sugli studi approfonditi che lo stesso fece a proposito dell’evoluzione biologica a partire dal 1859.
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Saverio Mecca
Adattamento e riduzione delle diseguaglianze territoriali
La strategia più naturale, più i la strategia che gli esseri viventi da sempre seguono nella terra, ovvero migrare spostarsi verso luoghi in cui ci si atten- de di trovare condizioni di benessere risponde, a seguito della pandemia, anche ad un cambiamento che ancora non è compreso nelle sue ragioni ma che forse si manifesta con il fenomeno del Great Resignation o le “Grandi Dimissioni”? che rivela un malessere diffuso e desideri di autorealizzazione e di crescita personale e sociale.
Negli anni di pandemia e di clausura si è accelerato un fenomeno, che pos- siamo ricondurre alla biofilia (su cui intervengono in questo Bollettino France- sco Ferrini e Alessandro Miani) di progressiva rivalutazione del rapporto con la natura. A tal proposito, una recente indagine condotta dall’Istituto Nazionale di Analisi delle Politiche Pubbliche INAPP ha rilevato che un terzo degli occupati si sposterebbe in provincia, nelle aree interne, nell’entroterra e che quattro persone su dieci sono attratte da una dimensione sociale più semplice, una dimensione urbana minore e meno complessa, sostenibile e legata ai cicli della natura e a tem- pi più lenti, o comunque meno stressanti (Fig. 1). Inoltre, 1 lavoratore su cinque accetterebbe anche una eventuale penalizzazione retributiva, a dimostrazione che si sarebbe disposti a rinunciare ad una parte di reddito in cambio di un ipotetico miglioramento nella qualità della vita.
Questo fenomeno è significativo: una strategia di riequilibrio e riduzione delle diseguaglianze, facilitata ora dalla smaterializzazione e dalla digitalizzazione dei
rocessi, può porre le “aree interne”, le nostre aree di collina e montagna così dif- AAA antropizzate nel tempo e così ricche di diversità, come aree strategiche in una logica di economia circolare e di adattamento al cambiamento del ia perché possono consentire di ottenere risultati di benessere essenziali e sostenibili (aria, acqua e suolo, diversità biologica, energia) con un minore impiego di risor- se e di energia e con valori interessanti di sostenibilità globale e resilienza.
In una visione geografico/antropologica la Regione Alpi e la Regione Appen- nino, purtroppo divisa amministrativamente in tante regioni, non sempre coor-
2 da Gianni Rusconi, “Great resignation’: perché è un fenomeno in crescita e come rallentarla,
Il Sole 24ore, 20 aprile 2022. https://www.ilsole24ore.com/art/great-resignation-perche-e-fenomeno- crescita-e-come-rallentarla-AEU3sfLB?refresh_ce
“I fenomeno delle grandi dimissioni - precisa Tomaso Mainini, Senior Managing director Italia & Turchia di PageGroup (aziende di recruitment britannica) - si è sviluppato nel periodo dell'emergenza Co- vid-19 perché molti hanno iniziato a dare maggiore importanza alla qualità del lavoro e della vita privata, mettendo al primo posto i desideri di autorealizzazione e di crescita personale e sociale. ....
Le motivazioni che inducono alle dimissioni volontarie non sono sempre del tutto scontate. Come emerge anche dall'ultima edizione del Randstad Workmonitor, è però certo che i lavoratori italiani hanno condotto in questi ultimi mesi una profonda riflessione su priorità, carriera e obiettivi professionali, riportando al centro l'interesse per il benessere, il coinvolgimento e i valori fondanti della vita. Sono dunque varie le ragioni principali per cui i lavoratori scelgono di lasciare un’organizzazione, e spaziano dalle relazioni professionali con i colleghi e i superiori all'aumento dello stipendio, dalla ricerca di un impiego più interessante ai valori aziendali in cui identificarsi, dal tempo da dedicare a sé stessi alla possibilità lavorare da remoto, dalle op- portunità di carriera a quelle di specializzazione in un ambito di interesse, dal clima aziendale al desiderio personale di cambiare e fare nuove esperienze”
iù INAPP, Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori, Roma, Inapp, Policy Brief, n. 26, 2022. <https://oa.inapp.org/xmlui/handle/20.500.12916/3420>
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
dinate, la spina dorsale della penisola dalla Liguria alla Calabria, è uno dei luoghi dove le specie viventi potranno migrare per trovare condizioni di benessere più sostenibili; le piante lo stanno facendo.
La concentrazione nelle aree urbane forti delle attività e delle persone ha in- crementato la diseguaglianza territoriale fra le pianure e le colline e montagne, fra “l'osso e la polpa” secondo la felice immagine di Manlio Rossi Doria”, e ha, al contempo, richiesto una diseguaglianza di investimenti e richiede, oggi, gli inve- stimenti aggiuntivi necessari per compensare la difficile sostenibilità dei sistemi urbani: una insostenibilità che, in uno scenario di riscaldamento globale, sareb- be accentuata dagli ulteriori processi di urbanizzazione (che generano ulteriori diseguaglianze territoriali e abbandono di parti vitale del territorio “interno”) e rafforzata dalle dinamiche autoalimentate e incrementali di tutti processi urbani (trasporto pubblico, trasporto privato, servizi infanzia e scolastici, servizi sanitari, residenza, etc.).
L'Italia, grazie alla sua struttura policentrica di insediamenti consolidati sto- ricamente e culturalmente, ha tanti luoghi e tanti insediamenti in cui migrare o meglio tornare ovvero invertendo il flusso determinato dalla industrializzazione delle pianure.
Molti insediamenti possono e devono essere rigenerati e adeguati, anche se- condo un approccio di economia circolare, alle esigenze con minori risorse e un minore impatto sugli ecosistemi. Criteri di economia circolare, di neutralizzazio- ne delle emissioni di CO? e di produzione di energia rinnovabile possono con- sentire una maggiore efficacia ed efficienza degli interventi rigenerazione/genera- tività nelle aree interne e collinari e una risposta alle esigenze fi vita delle persone, di consapevolezza e responsabilità individuale e delle comunità, di conservazione sia degli equilibri idrogeologici che della diversità.
In Italia la strada è stata aperta dalla Strategia nazionale delle Green Commu- nity SGC, prevista dall’articolo 72 della legge 28 dicembre 2015 n.221 che ha introdotto nella nostra legislazione la Green Economy e Green Communities, che aprono un nuovo La di gestione in cui la montagna, la collina e più in generale centri minori e i paesi possono trovare una loro centralità e un ul an- che in relazione alle aree urbane e metropolitane, per le politiche per l’ambiente, l’uso sostenibile delle risorse naturali, i servizi ecosistemici, la riduzione dei rischi idrogeologici e più globalmente la rigenerazione dei territori. La Green Economy informa l'insieme della società e costituisce il contesto della futura competizione sociale, economica, politica: non riguarda solo l'energia, ma l’insieme di tutte le dimensioni che ineriscono le dotazioni infrastrutturali, il modo di produrre e consumare, l’ambiente e il paesaggio, gli stili di vita e i comportamenti.
La SGC ha l’obiettivo di facilitare la transizione verso economie a basse emis- sioni, pianificando e costruendo un modello innovativo e sostenibile di governo del territorio che punti prioritariamente:
al rafforzamento economico e sociale delle comunità presenti sui territori, condizione per la manutenzione e la prevenzione del dissesto idrogeologico, la pianificazione del territorio abitato e naturale, la tutela del paesaggio,
7. M. Rossi Doria, La polpa e l'osso: scritti su agricoltura, risorse naturali e ambiente, Napoli, L’An-
cora del Mediterraneo, 2005
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Saverio Mecca
alla multifunzionalità e l’innovazione nell’agricoltura di montagna con il so- stegno a quella biologica, allo sviluppo di un turismo “dolce” e il rapporto con il paesaggio naturale e culturale,
alla attivazione di comunità ospitali ad altissima prestazione di servizi territo- riali innovativi,
alla gestione delle selvicoltura e dei bacini idrici in un'ottica di sicurezza e di gestione efficiente e sostenibile delle risorse.
Il modello Green Community può essere il modello di riferimento per la rigenerazione dei centri minori e dei paesi si intrecciano temi sociali, economici, antropologici oltre che architettonici, immobiliari e urbanistici. Un paese torna a vivere se oltre alla ricostruzione dei muri si rigenera una comunità, che lì vive e fa impresa, si creano le condizioni per una distribuzione più equa delle persone e delle attività produttive, resa oggi possibile dalla digitalizzazione.
I centri minori, luoghi delle cultura e della storia, possono essere il luogo di sperimentazione di nuovi modelli energetici, totalmente alimentati da fonti rinnovabili, piccole smart grid, aree deputate alla produzione energetica e all’ac- cumulo di energia, dell'innovazione e della imprenditorialità: sono luoghi dove produrre secondo i nuovi modelli di produzione, dove si è sempre prodotto, dove le comunità ne erano e ne sono protagoniste. Vale per le Alpi e per l’Appenino, vale per tutte le aree “interne” e deboli, anche di quelle comprese nelle vaste città metropolitane.
Il benessere fondato sulla salute degli ecosistemi
Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Tedros Ghebreyesus, ha affermato: La pandemia ci ricorda il rapporto intimo e delicato tra gli esseri umani e il pianeta. Qualsiasi sforzo per rendere il nostro mondo più sicuro è destinato a fallire a meno che non si affronti l'interfaccia critica tra persone e agenti patogeni, e la minaccia esistenziale del cambiamento climatico, che sta rendendo la nostra Terra meno abitabile.*
Una sola salute per gli umani, gli animali e l’ambiente: è questo il senso dell’ap- proccio One Health, dl ora costituisce l'orizzonte delle azioni: la sfida è metterlo in pratica attraverso una vera governance per la protezione e promozione della salute globale non più limitate alla sola salute umana. La visione olistica One Health, ossia un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse, è antica e al contempo attuale. Si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente. È ri- conosciuta ufficialmente dal Ministero della Salute italiano, dalla Commissione Europea e da tutte le organizzazioni internazionali quale strategia rilevante in tutti i settori che beneficiano della collaborazione tra diverse discipline (medici, veterinari, ambientalisti, economisti, sociologi etc.).
La One Health è un approccio ideale per raggiungere la salute globale perché affronta i bisogni delle popolazioni più Led sulla base della relazione tra la loro salute, Li dei loro animali e l’ambiente in cui vivono, considerando
8 WHO Director-General Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, Address to the 73rd World Health Assembly, May 18th 2020
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
l'ampio spettro di determinanti che da questa relazione emerge.?
La visione One Health non si applica solo alle popolazioni più vulnerabili, vale per tutte le comunità perché significa dare la priorità a tutte le dimensioni ambientali fondamentali, quali l’acqua, l’aria, il suolo, l'energia (rinnovabile e comunque ad impatto minimo), la diversità biologica e culturale, tutte dimen- sioni indispensabili per assicurare la vita oggi e alle generazioni future.
L'esperienza della pandemia ci ha aiutato a comprendere in modo ancora più immediato il ruolo della qualità dell’aria e in particolare di come la presenza di contaminanti (quali ad esempio il particolato atmosferico di cui ’OMS ha di recente rivisto al ribasso i limiti di sicurezza sanitaria) oltre ad essere essi stessi causa dell'insorgenza di patologie respiratorie e altri problemi, possano anche agire come veicolo per la diffusione (i coronavirus e di altri patogeni. La pande- mia ci ha mostrato come la qualità dell’aria, ad esempio, costituisca un elemento sostanziale per la salute delle persone e per quanto da essa deriva, ossia lo sviluppo delle società contemporanee e le prospettive per il futuro.
Le sfide connesse alla transizione ecologica, di cui alle opportunità offerte dal “Green New Deal” e dalle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, rappresentano un'occasione unica per sviluppare azioni mirate al miglioramento complessivo della qualità degli ambienti esterni ed interni sia con il contenimen- to dei contaminanti dell’aria che respiriamo all’esterno come nei nostri luoghi di vita o di lavoro, sia con un diverso e maggiore equilibrio nella distribuzione degli insediamenti sul territorio.
Ad esempio le isole di calore urbano, collegate ai cambiamenti climatici, all'inquinamento atmosferico e al depauperamento del verde urbano ed extra/ peri-urbano sono fattori di grande rilievo che impattano sul benessere comples- sivo delle persone e possono divenire un criterio per lo sviluppo di strategie di adattamento al cambiamento climatico favorendo “migrazioni” verso le aree in cui si hanno migliori condizioni per il benessere.
Verso una nuova urbanità
La politica di coesione territoriale dell’UE con lo Schema di Sviluppo del- lo Spazio Europeo si pone come un'attività di coordinamento trasversale delle politiche settoriali di competenza della EU. Il PNRR individua, come abbiamo ricordato all’inizio, nella valorizzazione delle diversità biologiche e culturali dei territori, nella riduzione costante e sistematica delle diseguaglianze di genere, generazionali e territoriali la condizione per uno sviluppo equo della società.
Gli eventi “catastrofici” della epidemia COVID 19 e dell'invasione della Ucraina hanno mostrato a tutti non solo la fragilità degli insediamenti urbani e metropolitani, ma anche la non sostenibilità e la non accettabilità, secondo un principio di parità di cittadinanza, delle diseguaglianze territoriali, di genere e ge- nerazionali: le tradizionali concezioni oppositive, quali città/campagna, a menti di pianura/di montagna, stanzialità/mobilità, pubblico/privato, analogico/ digitale, oi studio/lavoro sono l’espressione di una visione che ha consentito sì una crescita economica e sociale importante, ma con costi di squi-
° https://www.iss.it/one-health#:-:text=La%20visione%20olistica%200ne%20 Health, dell’ecosistema%20siano%20legate%20indissolubilmente.
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Saverio Mecca
libri e diseguaglianze non più sostenibili, sia ambientalmente che socialmente ed economicamente.
Le innovazioni tecnologiche cambiano le azioni e le interazioni, la prossimità fisica e aumentata e le diseguaglianze, il tempo e il luogo di lavoro e di studio, il benessere in relazione ai luoghi e alla prossimità con la natura e aprono ad una nuova concezione di urbanità degli insediamenti, che siano metropoli, città o paesi, fondata sulla prossimità fisica e aumentata e sulla generatività dei luoghi e delle comunità.
La generatività costituisce un passaggio ulteriore rispetto agli indicatori di benessere multidimensionale, come il Pil, BES!° e gli SDGs (Sustainable De- velopment Goals) ed è la condizione necessaria per la felicità che si basa sulla speranza di una vita migliore per sé e per le generazioni successive, sulla capacità di mettersi gioco, di intraprendere e costruire per un fine capace di mobilitare le energie delle persone e delle comunità. La generatività può essere promossa cre- ando le condizioni affinché si possano strutturare aziende, fare ricerca e innova- zione e possano crescere organizzazioni sociali sui territori capaci di incrementare la complessità e la diversità grazie a una maggiore prossimità fisica e aumentata.
In questo quadro il diritto alla prossimità, che trova il suo fondamento nella stessa Costituzione, è un fattore essenziale con cui possiamo generare e rigenerare le città e le metropoli e le comunità che le abitano in una più simbiotica relazione con la natura.
La prossimità, fisica, immateriale e aumentata è condizionata dalla comples- sità e diversità di un ecosistema urbano o di un territorio: la complessità è deter-
!° https://www.istat.it/it/benessere-e-sostenibilità. “I/ progetto per misurare il benessere equo e soste-
nibile nasce con l'obiettivo di valutare il progresso di una società non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale.
Il progetto BES nasce nel 2010 per misurare il Benessere equo e sostenibile, con l'obiettivo di valutare il progresso della società non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale. A tal fine, i tradizionali indicatori economici, primo fra tutti il Pil, sono stati integrati con misure sulla qualità della vita delle persone e sull'ambiente.
L'Istat, insieme al CNEL e ai rappresentanti delle parti sociali e della società civile, ha sviluppato un approccio multidimensionale per misurare il "Benessere equo e sostenibile” (BES) con l'obiettivo di integrare le informazioni fornite dagli indicatori sulle attività economiche con le fondamentali dimensioni del benessere, corredate da misure relative alle diseguaglianze e alla sostenibilità. Sono stati individuati 12 domini fonda- mentali per la misura del benessere in Italia.
L'analisi dettagliata degli indicatori, pubblicata annualmente nel rapporto BES a partire dal 2013, mira a rendere il Paese maggiormente consapevole dei propri punti di forza e delle difficoltà da superare per mi- gliorare la qualità della vita dei cittadini, ponendo tale concetto alla base delle politiche pubbliche e delle scelte individuali.
Nel 2016 il BES è entrato a far parte del processo di programmazione economica: per un set ridotto di indicatori è previsto un allegato del Documento di economia e finanza che riporti un'analisi dell'andamento recente e una valutazione dell'impatto delle politiche proposte. Inoltre, a febbraio di ciascun anno vengono presentati al Parlamento il monitoraggio degli indicatori e gli esiti della valutazione di impatto delle policy.
A partire dal 2016, agli indicatori e alle analisi sul benessere si affiancano gli indicatori per il monitorag- gio degli obiettivi dell'Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, i Sustainable Development Goals (SDGs) delle Nazioni Unite, scelti dalla comunità globale grazie a un accordo politico tra i diversi attori, per rappresentare i propri valori, priorità e obiettivi. La Commissione Statistica delle Nazioni Unite (UNSC) ha definito un quadro di informazione statistica condiviso per monitorare il progresso dei singoli Paesi verso gli SDGs, individuando circa 250 indicatori.”
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
minata dalla diversità delle attività, dalle strutture, dalle associazioni e istituzioni presenti in un territorio, da quanto le attività sono differenziate le une dalle altre e quanto sono accessibili, non solo fisicamente. Come la complessità degli eco- sistemi naturali è determinata dalla biodiversità, cioè dalla diversità delle specie viventi, così la complessità degli ecosistemi “urbani” lo è dalla diversità delle or- ganizzazioni “urbane”, che svolgono un ruolo negli ecosistemi urbani simile a quello degli organismi viventi negli ecosistemi naturali. La complessità, se misu- rata come diversità, fornisce una visione del grado di multifunzionalità di ogni area territoriale.
La prossimità è espressione della relazione soggettiva fra la persona e l’ambien- te, materiale e immateriale, è determinata dalla complessità dell’ambiente misu- rabile secondo un criterio di diversità: la prossimità esprime la relazione diretta e soggettiva, individuale e sociale, con la complessità, la diversità dell'ambiente in cui si abita, e pertanto è maggiore quanto è maggiore la diversità di un ambiente. In altri termini la prossimità fisica e aumentata dalla digitalizzazione delle azioni e interazioni (sufficiente pensare alla distribuzione commerciale) esprime la re- lazione delle persone con la diversità dell'ecosistema, non solo accessibilità fisica e virtuale ai iopli e agli spazi, ma anche prossimità relazionale fra le persone, i luoghi e il patrimonio intangibile. Le potenzialità offerte dalla digitalizzazione come espansione della prossimità con una nuova relazione fra i luoghi fisici e gli spazi virtuali in cui agiremo e interagiremo, aprono a nuove dinamiche di differenze di genere, generazionali e territoriali e a nuove e radicali prospettive di azione per il soddisfacimento del diritto alla prossimità non solo nelle aree urba- ne, ma anche nelle aree “interne” aumentandone il carattere di urbanità.
Possiamo quindi comprendere come ogni politica di riduzione delle disegua- glianze debba misurarsi ed essere misurata di della complessità/diver- sità delle aree deboli, ovvero della urbanità dei territori.
L'urbano, l’urbanità intesa come molteplice potenzialità di coniugazione di convivialità con prossimità fisica e, oggi, aumentata, non appartiene più alle sole ‘città tradizionalmente intese, ma nelle transizioni di italo ed ecologica può e deve generarsi, pur in varie forme, in sistemi ii “urbani” sostenibili, re- silienti e generativi, oltre la schematicità oppositiva di città/campagna, aree forti e aree deboli.
È sempre più diffusa la convinzione che solo una visione e una politica terri- toriale, urbana regionale, fondata su una radicale sostenibilità ambientale, (aria, acqua, One Health, suolo, energia, diversità) unita ad una cittadinanza piena, intesa come diritto ad equivalenti possibilità indipendenti da dove si sia scelto di abitare possa valorizzare le risorse inespresse della società e sostenere la transizione verso nuovi modi di abitare.
La “rigenerazione urbana” è ancora centrata sulle dimensioni edilizie e immo- biliare-finanziarie in una visione che separa le città dai loro territori; la prossimità materiale e immateriale, fisica e relazionale, diretta e aumentata, di comunicazione e di emozione, può costituire l’obiettivo e il criterio di valutazione che può guidare i processi di rigenerazione dei territori, urbani e non urbani nei prossimi anni, nel quadro sia dell'Agenda Urbana 2030 promossa dall'ONU che ib strategia a lungo termine della Unione Europea per un'economia prospera, moderna, com- petitiva e climaticamente neutra entro il 2050.
Una politica urbana e territoriale che persegua gli obiettivi (proposti sia dal
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Next Generation EU, e dal progetto New European Bauhaus) di sostenibilità, inclusione ed estetica, può trovare nella prossimità fisica e aumentata l’obiettivo di valore; per il riequilibrio dei territori assume al tempo stesso il ruolo di valore di diritto di ciascun cittadino e di criterio per misurare e valutare la dimensione spaziale territoriale del benessere generato dai progetti riguardo ai servizi e alle infrastrutture, agli spazi e ai luoghi collettivi, alla gna con la natura selvatica e la natura “curata”.
In questa accezione la prossimità riguarda sia chi abita nei sistemi urbani più consolidati e sia chi abita nelle aree che si sono indebolite e svuotate per i processi migratori interni, che hanno diritto ad equivalenti possibilità indipendentemente da dove abbiano scelto di abitare, oltre il genere o il reddito, un diritto che sarà essenziale per la sostenibilità e la resilienza delle comunità del XXI secolo in una nuova unione fra natura e cultura.
Prossimità e riduzione del divario di cittadinanza
Le grandi città come Parigi seguita da Barcelona, Milano, Firenze e tante altre hanno lanciato messaggi e progetti per “la città dei 15 minuti” (un modello che si riferisce soprattutto alle Lui mal urbanizzate e che riduce la prossimità alla distanza fisica da alcuni servizi fondamentali, in particolare di mobilità pubblica), altri hanno parlato di nuovi “borghi”: la dimensione della mobilità è importante, sottintende le ragioni del perché e come muoversi, ma, al di là dell'efficacia del messaggio, esclude tutti coloro che hanno mobilità diversa e diminuita e riduce la ricchezza e la complessità dell'esigenza di prossimità, mentre il concetto di “borgo” sembra suggerire nostalgie e ritorni al passato.
La prossimità non è solo riduzione dei costi economici e ambientali della mobilità delle persone; prossimità significa l'accessibilità a tutti i servizi di base, da quelli sanitari della prevenzione, della cura e della telemedicina che dovranno essere diffusi nel territorio e non più concentrati in poche strutture ospedaliere, a quelli dell'educazione e della formazione, valorizzando le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, a quelli commerciali di base, alle biblioteche e ai luoghi di so- cializzazione, a quelli della cura del corpo, agli spazi pubblici e agli spazi di gioco e di sport, di teatri e di cinema, alle forme di autogoverno delle comunità, alla rete di dati e di informazioni, che rendano possibile la nuova prossimità digitale con tutte le implicazioni che stiamo scoprendo e sperimentando.
La salute, l'educazione e la formazione sono fondamentali per le persone e le comunità, il rafforzamento della prossimità fisica e aumentata è uno strumento per riequilibrare i nostri territori costruire nuovi e migliori ambienti di vita, più sani, inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili.
La prossimità però non è solo un parametro che può misurare la capacità di un ambiente di creare benessere, ma è anche la condizione per la generatività economico-sociale11 di territori e comunità. Una politica di crescita economica
!! Leonardo Becchetti, La statistica e il senso del rapporto. La rivoluzione verso la felicità, Avve-
nire, 16 settembre 2022: “.... la generatività ha contenuti precisi che mettono in correlazione positiva la capacità del nostro agire di produrre risultati positivi sulla vita altrui e la soddisfazione di vita. Se questa è la chiave della generatività individuale, la “generatività pubblica” dei territori consisterà nel creare le condi- zioni migliori affinché i cittadini che li abitano possano avere una vita generativa, superando ostacoli legati
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
e sociale e di innovazione della governance fondata sulla generatività, e di quindi sulla riduzione delle diseguaglianze di prossimità e di diversità dei territori, può condurre i territori e le comunità italiane delle aree interne, e non solo, attraverso le transizione ecologiche e digitali verso una crescita armonica e un benessere equo e sostenibile caratterizzata da nuovi modi di “produrre” ed “abitare”.
Agire localmente e globalmente
Molte sono le esperienze maturate in questi anni sulla strategia delle “aree interne”, sia a livello centrale che soprattutto regionale e in particolare alle aree montane delle Alpi e dell'Appennino. Particolarmente efficace l’azione sviluppata da UNCEM"? in questi anni per la valorizzazione delle economie e delle comuni- tà montane, in modo ea sui temi della riduzione dei rischi idrogeologici, della economia della montagna e in particolare delle Green Communities!5.
Un principio generale è che lo sviluppo per essere generativo, ovvero generare crescita e benessere sostenibile e ul sr essere endogeno e ciò possa ot- tenersi solo mobilitando tutte le risorse materiali e immateriali localmente dispo- nibili. E necessario che sia la comunità locale, nelle sue diverse articolazioni, ad essere - a dover essere - il soggetto progettista e motore dello sviluppo locale: solo così un progetto di crescita generativa locale può, fondandosi sulla conoscenza del luogo e delle sue risorse materiali e immateriali, comprendere e valorizzare le diversità delle aree interne e deboli.
Le comunità locali, le amministrazioni comunali singole o meglio associate sono i primi e principali soggetti per lo sviluppo di progetti attuabili capaci nelle transizioni _ iche e digitali; in un quadro di potenzialità offerte dai progetti del PNRR colino le risorse complementari si possono individuare molte- plici linee di azione efficaci per incrementare benessere e generatività del proprio territorio: fra le altre possiamo individuarne alcune che agiscano sul medio lungo periodo per costituire le basi per una crescita generativa, ovvero produttrice di benessere equo, sostenibile e durevole quali ad esempio:
n)
a reddito, salute, età, discriminazioni e altre condizioni di vita. ..... il concetto di “generatività pubblica” definito sulla base delle evidenze empiriche più recenti converge verso quell'idea di bene comune ... definito come «le condizioni che rendono più piena e veloce la realizzazione di vita delle persone». Gli indicatori chiave per misurare la generatività dei territori nel rapporto sono la longevità attiva, che è un risultato della generatività applicato alla sfida dell'età che avanza, una quota bassa di “Neet” (i giovani che non lavorano né studiano) ovvero di giovani che non cadono nella trappola dell'assenza di generatività e, ovviamente, tutto ciò che misura la capacità di un territorio di favorire la nascita di imprese, organizzazioni sociali e famiglie, rimuovendo ostacoli come accesso al credito e accesso all'istruzione. Dal punto di vista dei processi sociali, la chiave della generatività è nella numerosità e fertilità dei percorsi di partecipazione, di cittadinanza attiva, di co-programmazione e co-progettazione tra cittadini, reti di organizzazioni ed amministratori locali.”
1? Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani è l’organizzazione nazionale unitaria, presente in ogni realtà regionale con proprie delegazioni, che da 70 anni raggruppa e rappresenta i comuni interamente e parzialmente montani le comunità montane e le Unioni di comuni montani, oltre ad associare varie amministrazioni ed enti (province, consorzi, camere di commercio) operanti in montagna, per un bacino territoriale pari al 54% di quello nazionale e nel quale risiedono oltre 10 milioni di abitanti.
13 UNCEM, Smart & Green Community. Coesione, crescita inclusiva, sostenibilità per i territori, L’'ARTISTICA EDITRICE, Savigliano (CN) 2017. https://uncem.it/wp-content/uploads/2022/02/ UNCEMSmart_GreenDEF-1.pdf
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ad incrementare la diversità e prossimità fisica e aumentata degli insediamenti “urbani” anche mediante l’accesso locale alla digitalizzazione,
a sviluppare nuovi modelli di governance dei processi di sviluppo sostenibile,
alla cura e valorizzazione produttiva e fruitivi dei boschi.
a) incrementare la diversità e prossimità fisica e aumentata degli insediamenti
Se la prossimità fisica e aumentata è una condizione necessaria per avviare una politica di crescita materiale e immateriale fondata sulla generatività, in questo senso può essere considerata un diritto fondamentale di tutti i cittadini.
La prossimità è un diritto individuale, collettivo e delle comunità alla prossi- mità che riguarda i servizi e le infrastrutture materiali e digitali, gli spazi e i luoghi pubblici, la natura selvatica e la natura “curata”, un diritto che appartiene a chi abita nei sistemi urbani sia più consolidati che marginali e a chi abita nelle aree che si sono indebolite e svuotate per i processi migratori interni. È un diritto ad equivalenti possibilità indipendentemente da dove si sceglie di abitare, oltre il genere o il reddito, per poter intraprendere, lavorare, studiare, abitare, un diritto che è essenziale per la crescita sostenibile e la resiliente delle comunità del XXI secolo per il quale le amministrazioni possono impegnarsi agendo con tutte le leve di cui dispongono.
A livello locale, comuni e aggregazione di comuni, si può agire dandosi l’o- biettivo di aumentare la diversità degli insediamenti e prossimità non solo per costruire nuovi e migliori ambienti di vita, più sani, inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili, ma ambienti capaci di valorizzare le risorse e le capacità delle persone di intraprendere, lavorare e produrre. Diversità e prossimità non sono impliciti in ogni insediamento, sono il risultato di decisioni amministrative e politiche continue e orientate.
Localmente è oggi necessario sostenere la prossimità aumentata, l'accessibilità digitale a beneficio del lavoro, della formazione e della prevenzione e cura della salute delle persone e consentendo una maggiore libertà di scelta sia di abitazione sia di accesso a servizi, riducendo le diseguaglianze e le dinamiche di abbandono degli insediamenti più deboli.
La prossimità ha un carattere multidimensionale e pertanto molte sono le azioni possibili e necessarie in una visione sistemica, ovvero non secondo criteri di progettazione, valutazione e gestione parcellizzati e settoriali ma con valutazio- ni e Gibue lobali sull’accessibilità a:
i servizi di base, da quelli sanitari della prevenzione, della cura e della teleme- dicina diffusi nel territorio,
i servizi dell'educazione e della formazione, valorizzando le possibilità offerte dalle nuove tecnologie,
la rete di dati e di informazioni
i servizi commerciali di base e la posta, cosiddetti di prossimità,
li spazi pubblici come spazi di dia e socializzazione oltre che di identità,
e biblioteche e i luoghi di socializzazione,
i luoghi per ui quali teatri e cinema,
la cura del corpo,
li spazi di gioco e di sport, e forme di autogoverno delle comunità,
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
b) i Patti territoriali di comunità
Nelle riflessioni e nelle esperienze italiane ed europee è oramai consolidata la valutazione che sia la comunità locale, nelle sue diverse articolazioni e nelle sue specificità, la protagonista dello sviluppo locale.
La politica dei “patti” avviata nella seconda metà degli anni ‘90 del secolo scorso e non solo in Italia, ha visto trasformarsi la dimensione collettiva e co- munitaria in una sommatoria di micro-interessi individuali e in una sostanziale frantumazione e dispersione delle risorse disponibili.
Lo strumento pattizio, ricondotto agli schemi di governance dei processi di sviluppo per privilegiare un percorso progressivo di formazione del consenso piuttosto che il ricorso a determinazioni Ki autorità, un consenso che nasca da una condivisione armonica della direzione di senso e non dall’esercizio dell’au- torità, attuando un principio di sussidiarietà che non può risolversi certo in un mero criterio manualistico di distribuzione delle competenze e dei poteri, ma deve operare anche a stregua di direzione di senso dell’agire pubblico e collettivo nella promozione di una autonomia costituzionalmente fondata dei corpi sociali e dei livelli istituzionali: è necessario che lo strumento pattizio consideri tutti gli stakeholder non soltanto come portatori di interessi specifici, da controllare, ma soprattutto portatori di competenze ed esperienze da ascoltare con attenzione consentendo anche all’autorità amministrativa e ai soggetti istituzionali di ac- quisire le informazioni migliori per delineare le policies di interesse. Il modello partecipativo del “patto” 1 operare, per poter produrre i risultati attesi, in funzione complementare e non sostitutiva della capacità di government degli ap- parati amministrativi, le cui risorse istituzionali sono essenziali per conseguire il risultato attese e garantendone la continuità nel tempo, inibendo comportamenti eventualmente opportunistici e assicurando la trasparenza delle decisioni assunte. Le Green Communities e le più recenti Comunità Energetiche Rinnovabili, non solo sono esempi di governance di processi di sviluppo ma anche rispondono alle priorità di sostenibilità ambientale, a cui i territori devono rispondere.
c) Il valore del bosco e della natura
Anche a livello locale, non solo regionale e nazionale, è possibile un approccio sistemico, una visione olistica, che indirizzi le politiche locali verso una du nomia basata sulla natura, sul bosco e sulla filiera del legno e le attività produttive sostenibili e durevoli capace di contribuire sia alla mitigazione del cambiamento climatico e dei rischi idrogeologici che alla crescita delle aree interne e montane/ collinari. La Strategia nazionale delle Green Community SGC, prevista dall’ar- ticolo 72 della legge 28 dicembre 2015 n.221 può costituire il modello con cui possono essere sviluppati Progetti delle comunità, più ampie delle singole ammi- nistrazioni, anche integrando progetti secondo il modello delle Comunità Ener-
etiche Rinnovabili; i progetti dl. dalle Green communities per la filiera
1: potrebbero perseguire obiettivi quali:
aumentare gli stock di carbonio (“net sink”) nei terreni forestali e nei prodotti di legno raccolti (HWP),
contribuire agli obiettivi di riduzione del biossido di carbonio nell'atmosfera.
utilizzare il legno e complessivamente le biomasse per sostituire altri materiali o combustibili fossili,
sviluppare imprenditorialità della filiera del legno e dei materiali naturali,
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sviluppare ricerche multidisciplinari per costruire da una parte modelli digita- li degli ecosistemi forestali in grado di sostenere la pianificazione di un sistema ad alta complessità, e dall’altra filiere locali della din della materia prima e del riciclo,
riequilibrare i territori sostenendo i processi di crescita delle aree interne, ru- rali, collinari e montane.
Una nota di riflessione su San Miniato, ma non solo
I molteplici temi, sia pure sommariamente trattati, non sono solo temi di interesse nazionale o regionale. Ogni politica orientata alla sostenibilità per avere successo richiede che le comunità locali e la loro espressione politica e ammini- strativa ovvero i comuni si assumano le proprie responsabilità nelle scelte e nelle decisioni, anche parziali, anche minori e ne valutino gli effetti secondo una visio- ne ampia, sistemica e e rigorosa di sostenibilità ambientale, sociale, economica e culturale.
Quando un’amministrazione assume decisioni secondo una visione ed obiet- tivi prioritari, questi devono essere valutati nei loro effetti immediati e nel tempo. Oggi in un quadro di obiettivi generali riconducibili alla sostenibilità in senso globale ogni decisione deve essere valutata secondo criteri non solo di impatto sull'ambiente, ma soprattutto sul benessere equo e sostenibile dei cittadini.
La diversità e la prossimità (che come si è detto misura la relazione fra gli abi- tanti e la diversità dell'ecosistema urbano) sono i parametri fondamentali su cui si deve agire per assicurare condizioni di benessere e generatività a tutti i cittadini, prioritariamente agli abitanti. La politica cui assistiamo a San Miniato, non pre- vista esplicitamente nei documenti di programmazione urbanistica, sembra per- seguire obiettivi, e già ottenere effetti negativi di diversità e prossimità, effetti che dii ulteriormente la diversità e la prossimità dell’abitato di San Miniato. La scelta di sostenere la massima diffusione di esercizi di ristorazione sta trasfor- mando San Miniato in un centro di consumo di ristorazione con un bacino di af- fluenza ampia. Tutto sembra una buona cosa, ma l’effetto reale oggi, e nel tempo ancor di più, è l’impoverimento della diversità e ricchezza di San Miniato perché sacrifica chi ci risiede, impoverisce i servizi e gli esercizi di prossimità diversi e disincentiva e disincentiverà la residenza anche nel suo ciclo di rinnovo continuo.
Possiamo domandarci quanto questi gravi effetti siano stati valutati dalla am- ministrazione, se su questa politica, quasi radicalmente contraria alla sostenibili- tà, sia stato chiesto il consenso consapevole ai cittadini residenti e se a suo tempo questa politica sia stata esplicitamente dichiarata nel programma elettorale.
Questa visione e strategia non sono nuove e tanto meno innovative, anzi han- no già mostrato tutti i limiti e gli effetti distruttivi, una politica che alla fine sta privatizzando il patrimonio pubblico costituito da piazze e strade e rendendo meno attraente abitare e vivere a San Miniato.
La sensazione è che l’ordinanza che ha istituito in modo perenne la chiusura del centro fino alle 5 del mattino (una chiusura priva di qualunque giustificazio- ne anche tecnica) a beneficio di pochi privati sia di dubbia legittimità: una cosa è la chiusura al traffico per un evento speciale e una cosa è una chiusura sistematica che non solo genera disagio ai residenti, disincentiva la residenza, che è la con- dizione ineliminabile per la vitalità e la generatività di un insediamento, e tutto ciò per il vantaggio di alcuni privati, certo non per gli abitanti di San Miniato.
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Diversità e prossimità per la generatività dei territori fra transizioni e diseguaglianze
Si sposterebbe in un luogo isolato a contatto con la natura BOS GG, 415 (campagna, montagna, ecc.) 3
Sarebbe disposto/a a rinunciare a una piccola parte di stipendio/guadagno
Fig. 1: INAPP, Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori, Roma, Inapp, Policy Brief, n. 26, 2022
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Biofilia: un legame innato tra uomo e natura
ALESSANDRO MIANI'
“La biofilia è la tendenza innata a concentrare la nostra attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotiva- mente”. Con queste parole nel 1984, Edward O. Wilson, biologo statunitense definiva la biofilia. Per Wilson l’uomo è inserito in una sorta di “Web of life”, una inestricabile tela della natura, della quale partecipa insieme a tutti gli altri esseri viventi. L'uomo ne è parte integrante e non solo uno spettatore e la biofilia è nient'altro che l’innato impulso ad affiliarsi alle altre forme di vita che condivido- no il nostro habitat, sia esse vegetali, minerali o animali. Numerosi studi hanno dimostrato che più del 90% delle persone immagina di trovarsi in un ambiente naturale quando gli viene chiesto di pensare a un luogo in cui sentirsi rilassati e calmi. Infatti, immergersi nella natura o stare vicini ad essa ci fa sentire bene: in sostanza, il nostro benessere psicofisico dipende molto dal quanto tempo trascor- riamo in un ambiente naturale. Ciò influisce anche sulla nostra produttività al lavoro e sullo stato di salute generale.
Con il passare degli anni la biofilia ha trovato sempre maggiori estimatori nella comunità scientifica, oltre che tra i designer e gli architetti. Nella proget- tazione di interni e di edifici si è fatta sempre più strada la convinzione di interconnessione tra alcuni dei disturbi moderni e il design di molti edifici di re- cente costruzione ad uso abitativo o di lavoro. Richard Louv, giornalista e saggista americano, ha coniato il termine “deficit di Natura” per descrivere le sensazioni di stanchezza, depressione, stress, calo di attenzione, aumento di allergie e stati asmatici di comune insorgenza negli ambienti urbani. Nasce da qui il cosiddetto design biofilico, una concezione che unisce elementi naturali ai principi dell’archi- tettura: massimizzare la luce diurna, ottimizzare le vedute sulla natura, impiegare materiali naturali e oggetti vivi, ad esempio le piante da interni e i giochi d ac- qua. Il biologo italiano Giuseppe Barbiero, ricercatore dell’Università della Val d'Aosta e la collega psicologa Rita Berto hanno dimostrato che fare brevi pause in mezzo agli alberi aiuta gli studenti a ricaricare le batterie mentali con una ve- locità maggiore del 30% rispetto a quelli che fanno le tradizionali ricreazioni fra i banchi. Studi successivi mostrano i benefici positivi derivanti dall’interazione dell’uomo con la natura: migliore produttività, livelli inferiori di stress, migliore apprendimento e persino migliori capacità di recupero dopo una malattia. Lo stress fisiologico o l'ansia (misurata in termini di aumento della frequenza cardia- ca e pressione sanguigna) è spesso inferiore dopo l'esposizione a piante e natura rispetto agli ambienti urbani (Berman et al., 2008).
! Presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale
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La ricerca ha dimostrato che la biofilia aumenta le prestazioni scolastiche dei bambini e persino la propensione alla spesa da parte dei consumatori, così come riduce i livelli di ansia e stress preoperatorio in caso di cure ospedaliere. La let- teratura scientifica sembra confermare addirittura che un bambino che vive a maggiore contatto con la Natura sia più rina in termini di funzioni cognitive o capacità attentiva rispetto a chi è abitualmente immerso in ambienti altamente antropizzati o aniicali (talora anche degradati o per nulla belli ancor- ché funzionali). Una ricerca svedese ha dimostrato che i bambini in età prescolare sono più concentrati quando giocano in uno spazio verde rispetto ad un’area giochi (Grahn, 2000). È la variabile ambientale non conosce limiti di età. Infatti, dalle osservazioni prodotte dalla ricercatrice Carolyn Tennessen nel 1995 emer-
e che anche gli studenti universitari che godono della vista della Natura dalla nestra della propria stanza del “College” hanno una migliore capacità attentiva.
Alcuni autori sostengono che una relazione intima con la Natura, special- mente durante l’infanzia, sia indispensabile per instaurare legami significativi e generare sentimenti positivi nei confronti laica (Chawla, 2002; Kellert, 2002; Colucci-Gray, 2006), oltre ad essere essenziale per lo sviluppo armonioso della personalità (Kellert, 1997; Kahn, 1999; Camino, 2005; Louv, 2005; Bar- biero, 2011). Infatti, la perdita di contatto con il mondo naturale, tipica della nostra epoca moderna, può causare seri danni allo sviluppo psico-fisico dei bam- bini, impoverendone le capacità sensoriali, rendendo meno efficace il pensiero e inaridendone la spiritualità (Vegetti Finzi, 2006; Barbiero, 2009).
Le persone che osservano dalla propria scrivania elementi naturali come ac- qua, alberi o campagna hanno livelli di benessere maggiori rispetto alle persone che hanno una vista di edifici, strade o cantieri (Spazi umani, 2015). Tuttavia, uno studio ha rilevato che solo il 58% dei lavoratori ha luce naturale che rag- giunge la propria scrivania e il 7% non ha affatto finestre, una chiara indicazione che i vantaggi di portare la natura al lavoro non sono apprezzati o applicati a suf- ficienza nei luoghi di lavoro. Se poi gli uffici si trovano nel centro di una grande città, è possibile portare la natura {rr piante, alberi, fontane d’acqua e immagini della natura sono tutti modi per aggiungere un elemento biofilo a uno spazio d’ufficio, aumentare la connessione n i dipendenti hanno con la natura e raccogliere i benefici che questa semina. Quando s’introducono piante negli uffici (anche solo una pianta per metro quadrato) le prestazioni dei dipendenti sulla memoria, sulla concentrazione e su altri fattori migliorano sensibilmente. Piante e fiori fanno molto di più che aggiungere dettagli di arredo in un interno, possono creare una sensazione completamente diversa verso quel luogo. Ciò che era grigio e insignificante può essere trasformato in uno spazio intimo, stimolante o più rilassante. Una parete decorata con piante vere o con del muschio miglio- reranno l’acustica assorbendo il suono. Disporre piante sulla parte superiore dei mobili da ufficio può ridurre il disordine rimuovendo le aree in cui le persone lasciano tazze e cartelle o stampe inutilizzate. Oppure, sostituite dei divisori in plastica con vasi colmi di piante vive per ottenere i vantaggi e l’attrattiva del ver- de. Realizzare aree verdi per la pausa di mezza giornata o spazi per riunioni infor- mali in uffici open space può davvero migliorare la ripresa delle attività lavorative.
Il dottor Craig Knight dell’Università di Exeter ha studiato gli effetti che am- bienti di lavoro “neutri” (ovvero senz'anima) hanno sui dipendenti nell’arco di 10 anni. I risultati sono sorprendenti e mostrano che la produttività dei dipen-
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Biofilia: un legame innato tra uomo e natura
denti aumenta del 15% quando gli ambienti di lavoro — ancorchè “snelli” sono riempiti con qualche pianta d’appartamento: sembra che la cosa importante fosse che tutti potessero vedere almeno una pianta dalla loro scrivania. Ciò equivale a dire che se si lavora in un ambiente dove c’è qualcosa che coinvolge psicologica- mente la persona, si è più felici e si lavora meglio.
Un “case study” esemplare è quello del Call Center Californiano LEED Gold del Sacramento Municipal Utility District in California, dove la ricercatrice Lisa Heschong ha scoperto che i dipendenti spostavano le loro sedie girevoli per vede- re gli alberi del parco su cui davano le loro finestre: con un investimento di 1.000 dollari in piante e modificando le postazioni, in modo che tutti potessero vederle nella loro visione periferica, l’efficienza nella gestione delle chiamate aumentava del 6% nell’efficienza, con un ritorno di 2.990 dollari (pari a un ritorno dell’in- vestimento del 299%). I dipendenti d’azienda che possono addirittura disporre a proprio piacimento della pianificazione del loro spazio di lavoro, non solo si percepiscono come più felici (dimensione che impatta in modo determinante sul loro benessere e stato di salute complessivo), ma riescono ad essere anche fino al 32% più produttivi.
In un'epoca in cui le aziende hanno conoscenze sufficienti per capire gli effetti che gli ambienti di lavoro hanno sul personale, potrebbe essere un'opportunità unica quella di utilizzare le piante per migliorare il luogo di lavoro e la propria immagine trasmessa all’esterno. I benefici che la biofilia porta con sé vanno i oltre i vantaggi pratici del riciclaggio dei materiali e della purificazione dell’aria. Le persone esposte ad un ambiente naturale hanno maggiori energie, si sentono meno stressate e hanno una maggiore capacità di attenzione. Immaginate quante buone notizie per molte aziende. La presenza di piante e materiali naturali in uno spazio di lavoro non sono più da considerare come stravaganze ma un modo per risparmiare sui costi e generare profitti. Può sembrare un compito arduo ma portare piante nello spazio dell'ufficio e coltivare aria pulita non è mai stato così facile. Visto che si trascorre così tanto tempo al lavoro, perché non creare il mi- glior ambiente possibile per i dipendenti?
C'è un motivo perché le piante hanno questo effetto sui di noi.
Una prima spiegazione è che le piante, essendo organismi viventi come noi, hanno un'influenza benefica sul clima dell'ambiente di lavoro, in particolare per- ché ne migliorano la qualità dell’aria. Le piante da interno, se utilizzate in quan- tità adeguate e con specie idonee, rimuovono molti tipi di inquinanti atmosferici da fonti interne ed esterne. Inoltre, il benessere del personale aumenta e si ridu- cono i giorni di malattia. Al contrario, le prestazioni degli studenti diminuiscono all’aumentare dei livelli di CO2 e così accade per la produttività sul posto di lavoro.
Una seconda spiegazione afferma che, dal punto di vista evolutivo, un am- biente verde richiama il mondo naturale primordiale e supporta la fisiologia uma- na. Una terza spiegazione consiste nel fatto che se si ina il luogo di lavoro con le piante, significa che sono stati fatti tentativi da parte della direzione per migliorare il benessere del personale. Questo comunica l’attenzione della pro- prietà al benessere dei dipendenti, che può portare a una maggiore attenzione sul lavoro, una maggiore produttività e impegno e una minore assenza. Quando siamo felici e ci sentiamo a abbiamo una visione positiva e generalmente sia- mo in grado di fare di più. La produttività e il benessere possono essere migliorati
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Alessandro Miani
includendo i dipendenti nel processo decisionale e dando loro una voce su come arredare il loro posto di lavoro.
Per ottenere un'integrazione efficace della progettazione biofilica nella nostra vita e coglierne i benefici, è opportuno seguire alcuni principi base:
Stabilire una connessione visiva con la natura
È utile inserire negli spazi interni delle piante ed elementi naturali, cercando di creare una sorta di effetto giungla tropicale, se possibile; cercare di creare una connessione visiva con l’ambiente per almeno 15/20 minuti al giorno; realizzare eventualmente delle pareti verdi con piante da interno di grandi dimensioni, gio- chi d’acqua, quadri vegetali. L'importante è che si possano vedere facilmente, così da poterne ricevere tutti i benefici sopra menzionati. Una soluzione semplice per ottenere questo risultato è quella di riempire lo spazio di lavoro o qualsiasi stanza in cui si trascorre molto tempo con diversi tipi di piante. Il tutto senza improv- visare ma facendosi aiutare da un giardiniere professionista esperto in piante da interni nella scelta delle soluzioni migliori.
Creare una connessione non visiva con la natura
È opportuno integrare elementi naturali non visivi in uno spazio. Ma come fare? Si può raggiungere lo scopo attraverso suoni, profumi o elementi provenien- ti dall'ambiente bucolico che possano essere toccati, come il muschio. Questo serve a stimolare i sensi separatamente ma anche ad amplificarne i singoli benefici se percepiti insieme.
Prevedere la presenza di acqua
Migliorare la propria esperienza attraverso la stimolazione ulteriore dei sensi attraverso la vista, l'udito e il tatto dell’acqua. La presenza di acqua in un am- biente chiuso provoca reazioni emotive positive, come la riduzione dello stress, l'aumento della sensazione di pace e l'abbassamento della pressione sanguigna. Costruire un acquario o una Li anche di piccole dimensioni, migliora la percezione dell'ambiente interno ed esterno.
Migliorare la diffusione della luce
Per stimolare positivamente la vista si tende a ricreare intensità variabili di luce e ombra, per simulare quanto accade in natura. Questi cambiamenti di luce ci riportano al naturale alternarsi di giorno e notte e diffondono una sensazione di calma. Il modo migliore per ottenere questo effetto è quello di utilizzare l’il- luminazione diffusa su pareti e soffitti, oltre ad impiegare diversi tipi di sistemi di distribuzione della luce nell'ambiente. Si consiglia di usare il più possibile la luce naturale proveniente dalle finestre, anche con l’uso di specchi per migliorare la luminosità dell’ambiente. Questo favorisce l'umore, aiuta la concentrazione e migliora il sonno. E possibile anche usare piante con vasi a terra, per riprodurre un effetto ombra e riflettere la luce in modi diversi all’interno di una stanza.
Simulare forme e modelli biomorfici
Inserire dei riferimenti simbolici che richiamano la natura sotto forma di mo- delli, trame, disposizioni numeriche. Questi tendono ad essere non solo interes- santi ma anche stimolano la contemplazione e il recupero di uno spazio proprio.
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Biofilia: un legame innato tra uomo e natura
Usare tessuti, tappeti o disegni di carta da parati con temi naturali. E possibile introdurre inserti in legno o in pietra naturale nell’arredamento.
Creare una connessione con la natura circostante
Introdurre materiali ed elementi reperiti nell'ambiente vicino per trasmettere, attraverso una lavorazione minima, uno spirito ecologico in grado di richiamare la natura circostante così da creare un preciso senso di appartenenza o vicinanza ad un luogo.
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Città “biofiliche”: sfide e opportunità nella politica della pianificazione del verde urbano
FRANCESCO FERRINI!
Fin dalla preistoria le comunità umane si sono sviluppate a stretto contatto con la natura, evolvendosi con essa, nel bene e nel male. Un rapporto che gli stili di vita urbani hanno messo in discussione e, per molti aspetti, in crisi. La crisi del rapporto con la natura, e con la foresta in particolare, genera stress e squilibri psicofisici rilevanti nel nostro organismo. All’opposto, vivere vicino alla natura ci fa sentire meglio perché, anche se potrebbe sembrare banale, crea una relazione di habitat per quello che siamo in senso evolutivo, biologicamente e psichicamente.
Questa relazione, intesa come “innata affinità umana con la natura”, è oggi al centro di numerosi studi nei campi cognitivi, psicologici e fisiologici che di imo- strano come la natura sia una componente primaria del nostro benessere fisico e mentale: contribuisce a regolare la nostra pressione sanguigna, riduce il battito cardiaco e migliora la nostra concentrazione, serenità e creatività.
L'origine della parola “biofilia” la si deve a Fromm (1964) che affermò che gli abitanti delle città stavano affrontando una disconnessione dalla natura con la perdita dei benefici psicologici che possono derivare da una sana relazione uomo- natura. Per seguire un percorso positivo e progressivo nella vita, Fromm propo- neva che fosse necessario un amore per la vita e coniò il termine “Biofilia” per esprimere questa connessione uomo-natura. Il termine fu poi ripreso e teorizzato da Wilson per descrivere le emozioni provocate da un periodo di immersione nella natura (Wilson, 1984).
Una mole importante di studi sulla relazione mente-corpo-ambiente derivati dalla primigenia idea di Fromm e Wilson ha sottolineato come le micro-esperien- ze immersive nella natura reale, o anche, seppure in misura minore, tecnologica- mente simulate, e perfino per tempi brevi (nell'ordine di pochi minuti), creano emozioni e atteggiamenti positivi.
Da ciò derivano certe affermazioni come “la deviazione dalla natura è una de- viazione dalla felicità”, su cui si basa l'odierna “economia biofilica”, che sta rivo- luzionando il design delle nostre città e dei nostri uffici. Mentre l’innata affinità con la natura è universale, le preferenze ambientali sono influenzate da differenze culturali, esperienze personali, fattori socio-economici, sesso ed età (ad esempio più di uno studio ha dimostrato come gli spazi naturali all'aperto abbiano un impatto diverso sugli uomini rispetto alle donne). Diversi gruppi e culture usano quindi la natura in vari modi, dando all'ambiente significati diversi, in base ai loro bisogni e obiettivi.
t DAGRI, Università di Firenze
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Francesco Ferrini
L'importanza del rapporto col verde
È ormai dimostrato A una corposa letteratura che la permanenza in aree verdi stimola delle reazioni affettive inconsce che attivano vie metaboliche in grado di alleviare lo stress, ridurre la tensione muscolare, la conduttanza epidermica, il cortisolo salivare, la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca (Kaplan e Ber- man, 2010; Kuo, 2015). La presenza di aree verdi di almeno 1 ettaro entro 300 m dall'abitazione stimola l’attività fisica, cosa essenziale al giorno d’oggi poiché essa è insufficiente per il 31% delle persone sopra i 15 anni e circa 3,2 milioni di morti premature all’anno sono attribuite a uno stile di vita troppo sedentario (Annersted Van den Bosch, 2017). Inoltre, il contatto con la natura stimola il si- stema immunitario, soprattutto durante l’infanzia, e migliora il comportamento sociale (Annersted Van den Bosch, 2017). La riduzione del particolato atmosfe- rico e il miglioramento della qualità dell’aria, la mitigazione dell’isola di calore urbana e la regimazione degli afflussi sono altri importanti servizi ecosistemici di regolazione con cui le aree verdi possono migliorare il benessere umano.
La necessità di pensare a città “biofiliche”
Le città di tutto il mondo stanno crescendo drammaticamente. Oggi il 55% degli abitanti del pianeta vive in aree urbane ed entro il 2030 si prevede che il 60 per cento della popolazione mondiale, ovvero quasi 5 miliardi di persone, vivrà nelle aree urbane. I movimenti di popolazioni non sono mai avvenuti in precedenza con questa velocità e con questa modalità. Tuttavia, le città non si stanno solo espandendo, ma stanno anche cambiando nei loro ruoli e nella loro funzione. La deindustrializzazione, l'aumento della mobilità e un settore dei ser- vizi in crescita hanno visto le aree urbane trasformarsi in economie di consumo post-industriali basate sulla conoscenza piuttosto che sulla produzione.
Emerge da questo spostamento del focus della funzione delle città un cambia- mento “evolutivo” nella forma e nei modi in cui le città stesse dovrebbero essere progettate e costruite e come la natura dovrebbe far parte di questo cambiamen- to. Ciò ha attirato ulteriori ricerche e sviluppi da parte di persone interessate e con obiettivi comuni e il desiderio di consentire una maggiore opportunità per gli abitanti delle città di affiliarsi con la natura, e di tutti i vantaggi che ciò otte, all’interno dell'ambiente urbano. L'attenzione sulla connessione uomo-natura non è più relegata agli ambientalisti e alle aree naturali al di fuori delle città; è una dici - proviene dagli abitanti delle città.
Si è perciò evoluto un movimento sociale basato sul design biofilico soste- nuto dall'aumento della popolazione urbana e dal cambiamento della funzione della città che ha portato a una dinamica mutevole e all’interazione tra luoghi e spazi urbani. Questa trasformazione recente, e in espansione, negli insediamenti urbani umani richiede un nuovo approccio alla costruzione dall città. Le città devono essere progettate, pianificate, costruite e adattate per essere sostenibili e vivibili (Storey e Kang 2015). La maggiore densità edilizia, i canyon urbani e le superfici impermeabilizzate modificano il clima locale, in particolare la tempera- tura, aumentando il fenomeno noto come effetto isola di calore urbano.
Questa correlazione tra l'aumento della popolazione urbana globale, il cam- biamento climatico e l’effetto isola di calore urbano e la necessità ii città vivibili a densità più elevata è presente in tutta la letteratura che tratta di sostenibilità e che discute di città e design. In questo quadro, la natura e il design biofilico stanno
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Città “biofiliche”: sfide e opportunità nella politica della pianificazione del verde urbano
trovando un rinnovato status e riconoscimento come componenti essenziali di una città sana e sostenibile. Esempi globali di progettazione biofilica dimostrano che in molti casi l'iniziativa non è una risposta puramente funzionale alle sfide della soste- nibilità di una città. C'è una motivazione al di là della funzione. Ci sono indicatori che ci dicono che si è verificato un cambiamento nell’approccio alla connessione tra uomo e natura urbana. I principi della progettazione biofilica rappresentano queste nuove iniziative emergenti che si stanno verificando nelle città.
La biofilia non è dunque solo un problema di progettazione, ma un mo- vimento costruito attorno all’idea che i connessione alla natura è un bisogno umano fondamentale. È il riconoscimento di questa necessità che ha catturato l’attenzione di così tante persone, non solo dei progettisti. Affrontare gli aspetti sociali del design biofilico solleva importanti nuove questioni compresa la “de- mocratizzazione” della biofilia. Se la connessione alla natura è, infatti, una neces- sità umana evoluta, allora è una necessità che deve essere condivisa da tutti - non solo da coloro che possono permettersi di vivere in aree con spazi verdi e lavorare negli edifici con caratteristiche ed elementi naturali.
La realizzazione che l’Homo - è ora diventata prevalentemente una specie urbana significa che la necessità di riconnettersi con le qualità dell'ambiente natu- rale in cui ci siamo evoluti sta diventando sempre più importante. Parchi, giardini, presenza dell’acqua e viste sulla “natura” sono stati a lungo evidenti nel recinto dei ricchi. Oggi dobbiamo estendere quelle esperienze a tutti, ogni giorno.
Un punto di partenza critico nella pianificazione e nella progettazione di cit- tà migliori è infatti affrontare le profonde disuguaglianze nella presenza e nell’accesso alla natura nel paesaggio urbano. Alcune recenti ricerche hanno illustrato le disuguaglianze che esistono nella copertura arborea nei quartieri cit- tadini, il drammatico impatto differenziale che ciò può avere sull’isola di calore urbano all’interno di una singola area della città e la correlazione di queste disu- guaglianze con pratiche di pianificazione “socialmente” sbagliate. Le conseguenze di queste pratiche di pianificazione discriminatorie continuano a influenzare le comunità disagiate e quelle socialmente deboli esponendole a temperature am- bientali più elevate, a maggiori livelli di inquinamento atmosferico e a un minor accesso alle risorse ambientali come gli spazi verdi pubblici.
La pandemia ha purtroppo esacerbato queste disuguaglianze. A causa dell’i- solamento dei residenti, gli spazi verdi continuano a rivelarsi una risorsa prezio- sa, ma privilegiata. Anche dove sono disponibili parchi pubblici, la percezione dell’accessibilità del parco e l'investimento della città nei parchi locali influenza chi sta effettivamente beneficiando dello spazio verde urbano. Il miglioramento dell’accesso non è semplicemente una questione di vicinanza al parco, ma anche di qualità di questi spazi e di esistenza di barriere, non solo fisiche, che ne limita- LI fruizione per tutte le comunità.
Tuttavia, la pandemia ha anche accelerato l'introduzione di interventi per ini- ziare ad affrontarle, poiché ha ancora di più evidenziato l’importanza dell’accesso alla natura e agli spazi aperti nelle nostre città per la nostra salute sociale, fisica e mentale. È stato dimostrato che le persone che vivono in quartieri con un inquinamento atmosferico peggiore, che spesso mancano anche di spazi verdi, hanno evidenziato un tasso di mortalità più elevato per Covid-19. L'accesso alla natura urbana ha anche dimostrato di influenzare la riduzione dello stress e nella socializzazione, con i parchi urbani che ricevono attenzione sui benefici della
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Francesco Ferrini
natura mentre gli abitanti delle città cercano uno spazio esterno più sicuro in cui lavorare, socializzare e giocare.
Questa rinnovata attenzione è supportata da una tendenza nella pianificazio- ne e progettazione urbana che sta cercando di fornire opportunità per connettere
li abitanti delle città con la natura attraverso progetti di servizi ecosistemici Lu sulla comunità, interventi di progettazione rigenerativa e biofilica e spazi verdi residenziali, tutti collegati a un aumento del benessere, della concentrazio- ne, della socializzazione, del senso del luogo e della connessione con la natura. Tuttavia, continua a esserci una disconnessione tra il nostro bisogno di natura, la nostra esperienza quotidiana vissuta e il comportamento sostenibile, in parte radicata sli di comprendere come interpretare e applicare la ricerca sulla natura e la salute a diversi progetti e interventi politici a scale diverse.
In particolare, i problemi emergono da una disconnessione tra principi di progettazione biofilica, interventi di pianificazione urbana e risultati specifici di salute e benessere, nonché da una mancanza di integrazione tra le diverse discipli- ne. Questa confusione ha implicazioni reali poiché edifici, città e regioni tentano di allineare gli obiettivi di progettazione rigenerativa con quelli di salute umana, ma spesso mancano degli strumenti e delle conoscenze per farlo, il che può com- portare una mancanza di prove a sostegno dell'efficacia di questi interventi.
In particolare, un approccio sbagliato per affrontare le disuguaglianze può spes- so creare impatti non intenzionali. Quando le città migliorano la presenza e l’acces- so alla natura, le comunità più deboli possono essere sfollate a causa dell'aumento dei costi abitativi e del costo della vita, portando al fenomeno della gentrificazio- ne. Di conseguenza dovremo puntare a città “just green enough” che uniscano, quindi, i miglioramenti alle io naturali con gli sforzi per affrontare altre priorità delle comunità esistenti, come l’accesso al cibo e lo sviluppo del lavoro. Invece di una conversione su vasta scala di aree per parchi, il potenziale per evitare l’eco-gentrificazione potrebbe risiedere negli interventi su scala ridotta che sono ben dispersi e progettati in combinazione con altre risorse, come l'occupazione e il sostegno alla proprietà della casa. Con l’obiettivo che la comunità in atto sia quella meglio servita dai nuovi miglioramenti basati sulla natura.
Gli spazi verdi urbani possono essere dunque uno strumento prezioso per creare condizioni di parità per le comunità svantaggiate in un'ampia gamma di contesti, inclusi i benefici economici e sanitari, maggiore sicurezza e resilienza agli eventi calamitosi. Per raggiungere questo obiettivo, i progetti che mirano a migliorare lo spazio verde aL. per essere realmente equi devono avere il con- senso delle comunità. Partendo da queste basi, e in relazione alle criticità emerse e le possibili azioni di medio e lungo periodo, anche nell’ottica del PNRR, le città
ossono, o meglio devono, compiere tre passi cruciali per assicurarsi che i bene- oi sanitari, economici e ambientali degli spazi verdi urbani diventino motori di una maggiore equità sociale.
Stabilire una forte leadership politica per ridurre le diseguaglianze. I co- muni dovrebbero stabilire una forte leadership politica, intesa non in senso di politica di appartenenza a un partito, ma nel senso della legittimità sociale nella cornice definita dai media, che dia la priorità alle comunità svantaggiate nei pro- getti di infrastrutture verdi urbane e protegga i benefici sociali a Lu termine dagli interessi economici a breve termine.
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Città “biofiliche”: sfide e opportunità nella politica della pianificazione del verde urbano
Coinvolgere le comunità in modo significativo. L'impegno proattivo e si- gnificativo della comunità è essenziale per garantire il coinvolgimento locale nei progetti di recupero e conservazione con sessioni di brainstorming con le princi- pali parti interessate, ampie sessioni pubbliche e consultazioni online.
Tuttavia, l'impegno e il coinvolgimento della comunità non dovrebbero signi- ficare il dipendere dai residenti e chi proprietari privati per realizzare e gestire le aree verdi. Questo approccio tende infatti a essere più efficace nei quartieri più ricchi, dove i residenti hanno le risorse finanziarie per acquistare e prendersi cura dei giovani alberi. Collaborare con organizzazioni locali e affidabili può essere una strategia fondamentale per creare fiducia e garantire che le tecniche di comu- nicazione e partecipazione siano appropriate Ci efficaci.
Sviluppare modelli di finanziamento innovativi. Un'equa pianificazione del verde urbano richiede finanziamenti innovativi per aiutare le amministrazioni cittadine a creare o rigenerare spazi verdi in quartieri scarsamente serviti, proteg-
endo la proprietà della comunità per prevenire la gentrificazione. Un modo per do è, ad esempio, con i Social Impact Bond, strumenti innovativi di “impact investing” destinati alla realizzazione di progetti di pubblica utilità, con una re- munerazione degli investitori solo in caso di effettiva generazione di impatto sociale positivo, opportunamente misurato, che consentono ai comuni di con- dividere il rischio con gli investitori, riducendo la loro responsabilità e i costi di finanziamento per progetti futuri.
Ad esempio, Atlanta ha emesso un’obbligazione da 14 milioni di dollari, che si è conclusa a inizio 2019, e ha finanziato sei progetti di infrastrutture verdi per la gestione delle acque piovane in quartieri in difficoltà economiche e ambien- tali che in precedenza non avevano accesso ai finanziamenti e per porre rimedio all'inquinamento ambientale nei quartieri scarsamente serviti (Jennings et al, 2017). Gli Environmental Impact Bonds rappresentano un nuovo approccio per finanziare progetti di resilienza. Washington, DC li ha utilizzati per finanziare lo sviluppo della forza lavoro locale attraverso una “Green Collar Jobs Initiative”2.
Gli strumenti finanziari classici possono anche essere adattati per indirizzare
li investimenti verso i quartieri meno serviti. Ad esempio, la California ha sta- Eilito criteri di equità per i fondi raccolti tramite obbligazioni generali per finan- ziare parchi in quartieri scarsamente serviti. I fondi raccolti sono quindi prioritari per i progetti che impediscono lo spostamento dei residenti.
Un futuro più verde e più equo per le città
L'adozione di un approccio di equità sociale nel processo decisionale nella fo- restazione urbana può, in definitiva, aiutare le città a rendere gli spazi verdi uno strumento essenziale per affrontare le disuguaglianze esistenti, costruendo al con- tempo resilienza e benessere locali. Se fatto correttamente, può anche ridurre il
2 IGreen collar jobs sono opportunità di lavoro nelle industrie ambientali emergenti, così come
nelle attività commerciali e nei mestieri convenzionali, create dal passaggio a pratiche, materiali e pre- stazioni più sostenibili. In particolare, includono opportunità di lavoro a vario livello che si traducono direttamente nel ripristino dell'ambiente, nell’aumento dell’efficienza energetica, nella generazione di energia pulita, nella creazione di edifici ad alte prestazioni e nella conservazione delle risorse naturali. https://planning.dc.gov/page/green-collar-jobs-initiative
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Francesco Ferrini
rischio di conflitti, rafforzare il consenso della comunità e sfruttare le conoscenze locali e i social network dei residenti.
A breve termine, l'attuazione di migliori pratiche di gestione delle foreste ur- bane renderà le passeggiate più piacevoli nei quartieri quando la polvere della pandemia si depositerà. A lungo termine, queste pratiche aiuteranno le comunità locali a essere più verdi, più sane e più eque.
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È questa la scuola che vogliamo? Riflessioni a margine della scuola delle competenze
LAURA BALDINI
La scuola di ogni ordine e grado, dopo la Riforma Gentile del 1923, è stata investita per lunghi anni da interventi ministeriali assai settoriali, che non han- no spesso guardato a un cambiamento unitario e globale dell’intero sistema!. Questo spinge a chiedersi quali siano state le conseguenze, a partire da una diffi- cile continuità educativa e didattica verticale, tra gradi scolastici in successione, ma anche l’ aver generato disorientamento negli insegnanti e negli studenti, questi ultimi chiamati, quasi inaspettatamente, a scegliere nuovi indirizzi di stu- dio, che sono andati moltiplicandosi sia nei Licei, sia negli Istituti Tecnici e Professionali. Può esserne derivato, infatti, il legittimo sospetto non tanto di un efficace ampliamento e rinnovamento dell’offerta formativa, quanto piuttosto di un tentativo, per gli Istituti Secondari di II grado, di salvaguardare, se non innalzare, il numero delle iscrizioni. Se, da una parte, può esserne seguito uno stimolo positivo alla progettualità delle scuole, dall'altra, può invece innescarsi una vera e propria competizione, non necessariamente costruttiva, tra i diversi Istituti a dotarsi di indirizzi rivelatisi, poi, scarsamente rispondenti ai bisogni sentiti come prioritari dagli studenti, ma anche sul territorio sia locale, sia nazio- nale, soprattutto nell’ambito dell’occupazione lavorativa, quando, invece, nelle giornate dell’orientamento, con gli open day, se ne esaltano tutti i potenziali e positivi sbocchi professionali.
Queste prime considerazioni suggeriscono l’immagine di un sistema scolasti- co che sia andato progressivamente ispirandosi a modelli di tipo anglosassone, fa- vorevoli alla specializzazione più che all'educazione della persona, così da meglio rispondere alle richieste del mondo del lavoro (Perrenoud 2017). Ne derivano molteplici implicazioni, già chiaramente individuabili a livello europeo quando si parla di società della conoscenza e si individuano otto competenze-chiave per
J Perché si abbia una prima riforma unitaria del sistema scolastico in Italia occorre attendere la
Legge 30/2000, Legge quadro in materia di riordino dei cicli scolastici (Riforma Berlinguer) che istituisce due cicli scolastici e la Legge 53/2003 Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istru- zione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione (Riforma Moratti). Oltre a ridefinire i cicli scolastici, si parla del sistema dei licei poi disciplinati dal DPR 89/2010, di quello degli Istituti tecnici, regolati in seguito dal DPR. 88/2010, e professionali disciplinati dal DPR. 87/2010, ul- teriormente ridefiniti con Legge 107/2015 (Legge della buona scuola), attraverso il Dlgs 61/2017. Nella Legge Moratti si parlava, per la prima volta, di Alternanza scuola-lavoro, trasformata poi in PCTO con Legge 145/2018. Entrava allora, nella Scuola superiore, una logica molto vicina a quella dell’impresa.
Lf:
Laura Baldini
l'apprendimento permanente, definite con Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio Europeo nel 2006, poi riformulate nella Raccomandazione del 22 Maggio 2018? così da rendere gli studenti capaci di competere nel mercato del lavoro. (Cerini et al. 2018) Si è fatto dunque strada, anche nella scuola italiana, il principio dell’acquisizione di competenze, non un'idea di per sé inadeguata ai tempi, ma bisognosa di precisi contenuti e non di generiche affermazioni. Per competenza si intende, infatti, il possesso di conoscenze, abilità, atteggiamenti da utilizzare e trasferire, in modo personale e originale, in campi del sapere di- versi da quelli in cui siano stati acquisiti e di fronte a problemi nuovi. È questa la definizione che di competenza si dà nei diversi testi di pedagogisti contempo- ranei (Pellerey 2012; Castoldi 2014), per poi lasciare spesso ai docenti il com- pito di declinarle nelle diverse discipline. Ma i corollari diventano in qualche misura preoccupanti, poiché il concetto di competenza comporta la necessità di individuare le prestazioni o performance, che permettano di valutarne l’effettiva padronanza, per poi certificarle tanto da attribuire alla valutazione un caratte- re di forte oggettività, ma a condizione che le prestazioni siano unanimamente discusse e accettate dal corpo docente col rischio, altrimenti, di accentuarne la soggettività (Tessaro 2012; Trinchero 2012). Da qui la ricerca e l’offerta di griglie di osservazione e valutazione che possano aiutare gli insegnanti a districarsi in questo campo, arduo anche per i cosiddetti esperti, senza che, magari, i docenti siano stati adeguatamente preparati ai cambiamenti (Batini 2016). Se sono infatti doverosi l’autoaggiornamento, lo studio di testi che permettano di dare risposte all'esigenza di innovare la didattica e la metodologia per soddisfare al meglio i bi- sogni di conoscenza, di relazione degli studenti motivandoli all’apprendimento, è imprescindibile compito ministeriale e degli Istituti scolastici, ora giustamente autonomi*, quello di promuovere una corretta formazione degli insegnanti sui mutamenti in atto, sulle motivazioni di ordine teorico, sulle conseguenti applica- zioni pratiche. Basti soltanto pensare a quanto è accaduto per le diverse tipologie di programmazione didattica, un principio in sé determinante che ha cambiato il volto dell’insegnamento con Legge 517 del 19775, con il passaggio dal Piano di lavoro individuale alla programmazione didattica del gruppo docente, quindi alla collegialità delle decisioni e delle scelte, dando luogo, poi, a una programmazione
2. In occasione del Congresso di Lisbona 2000, la Commissione Europea pubblica il Memoran-
dum sull'educazione e la formazione permanente in cui si parla di economia fondata sulla conoscenza. Si afferma che l’Europa dovrà diventare l'economia più competitiva e dinamica del mondo. Da qui le due Raccomandazioni, prima nel 2006, poi nel 2018.
ì. Lart.21 della legge 59/1997 (Legge Bassanini) sulla trasparenza e semplificazione degli Atti della Pubblica Amministrazione riconosce la personalità giuridica agli Istituti scolastici che così godono della necessaria autonomia, poi regolata dal DPR 275/1999, mentre si attribuisce al Preside la qualifica di Dirigente Scolastico, meglio definita dal DIgs 165/2001 e dalla Legge 150/2009.
4 La Legge 517/1977, Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di ripa- razione nonché altre norme di modifica dell’Ordinamento scolastico, introduce la scheda di valutazione al posto della pagella, il concetto di programmazione educativa in sostituzione del Piano di lavoro del singolo docente; inserisce l’alunno handicappato nella scuola comune.
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È questa la scuola che vogliamo? Riflessioni a margine della scuola delle competenze
per obiettivi con le Unità didattiche, successivamente le Unità di apprendimento, infine le Unità di competenza su cui i docenti cominciano ora a cimentarsi. Ma siamo sicuri che gli insegnanti siano stati chiamati a riflettere e a fare propri, in- tenzionalmente, i principi teorici che stanno a fondamento di tali cambiamenti? Il rischio è quello che ci si limiti ad adeguare i consueti percorsi alle nuove tipolo- gie proposte, senza individuarne con chiarezza le oggettive diversità, in realtà non di poco conto perché investono il modo di fare scuola e quindi di coinvolgere davvero gli studenti nel percorso di costruzione del proprio sapere. Senza negare il rilievo di positivi cambiamenti che hanno portato i docenti a collaborare più strettamente tra loro, a confrontarsi criticamente, a individuare strategie sempre meglio rispondenti ai bisogni degli studenti, rimane il problema di fondo su cui riflettere e interrogarsi, se siamo ancora realmente consapevoli di quanto educare non significhi istruire, soprattutto in un mondo quale quello attuale, caratterizza- to da forte complessità e incertezza, in cui occorre soprattutto educare il pensiero critico (E. Morin 2000, 2001, 2015, 2022).
Secondo la radice etimologica, dal latino e-ducere, trarre fuori, educare signi- fica dare vita a un processo che implichi attenzione alla persona dello studente nella sua globalità, da conoscere nella sua peculiare specificità, di cui compren- dere bisogni, aspettative, problemi, richieste attraverso momenti di ascolto at- tivo, di dialogo critico, partecipato e costruttivo da non demandare e affidare a esperti, nei Centri appositamente creati nella scuola, seppure utili e importanti, al contrario connaturati all'essere insegnanti. A questi compete non solo di aiu- tare gli studenti a dotarsi di conoscenze, abilità e competenze, ma soprattutto di stimolarli a pensare e conseguire altresì quella educazione dei sentimenti, di cui parla sempre più spesso il filosofo e psicologo Umberto Galimberti (2018, 2020), egli stesso insegnante per tanti anni. Educare i sentimenti non significa soltanto abituare i bambini fino dai primi anni di vita a conoscere e gestire le emozioni, pratica largamente in atto fino dalla Scuola dell’infanzia, quanto piut- tosto imparare, anche attraverso la letteratura, la poesia, la filosofia, la musica, a comprendere il significato dell'amore in ogni sua manifestazione, del dolore, del bene, del male, della morte, delle scelte da operare responsabilmente. Non una visione nostalgica della figura di insegnanti del passato, ma l’urgenza di aiutare lo studente di oggi a comprendere il mondo, se stesso, a sapersi porre anche “nei panni” degli altri in direzione empatica, a impegnarsi, mettendosi alla prova, ad acquistare fiducia nelle proprie capacità, a imparare concretamente il significato della solidarietà. L'idea è quella di una scuola che sia spazio di realizzazione di un nuovo umanesimo, di una vera riforma del pensiero pedagogico e non solo, perché i ragazzi non trovino adulti-insegnanti preoccupati soprattutto dei pro- grammi da portare avanti, di un numero adeguato di valutazioni e di voti, attenti alle prestazioni più che alle persone, impegnati in una miriade di Progetti, perché magari le scuole possano avvalersi dei finanziamenti messi a bando dai Fondi Sociali Europei (FSE) o dalla Regione, utili senza dubbio, purché rispondano ai bisogni più sentiti degli studenti.
In vari casi, purtroppo, la realtà della scuola è quella di giovani demotivati,
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impegnati a studiare soltanto quanto basta per raggiungere la sufficienza, an- noiati, difficili da coinvolgere e interessare, proiettati per lo più verso il mondo extrascolastico, magari nello sport, non sempre per divertirsi e stare insieme, ma impegnati e stimolati a inseguire precocemente il successo, l'affermazione, il denaro, in forme di competizione esasperata; certamente non per tutti è così, ma gli esempi si fanno sempre più numerosi. C'è dunque una gioventù, una cui parte risulta desiderosa di conoscere, pronta a interrogarsi, a porre domande di senso, a partecipare, a mettersi in discussione, solidale e forte anche grazie a famiglie capaci di trovare le giuste dimensioni del dialogo, pur sempre entro un rapporto di tipo asimmetrico, ma stanno ormai iii situazioni non facili da gestire, talvolta destinate a sfociare nel triste fenomeno del bullismo, delle minacce, anche sui sociz/, a cui molti assistono senza intervenire e, in que- sto, colpevoli come chi agisce la violenza fisicamente o nel web. Inaccettabile sempre e in ogni caso, ma in particolare se questo accade nei confronti di inse- gnanti il cui ruolo e dignità dovrebbero essere salvaguardati e rispettati, soggetti a errori come umanamente è possibile che accada, mai, però, da deridere sui social. Non è un caso che si sia sentita l'urgenza di intervenire perfino a livello legislativo con Legge 71/2017?. La realtà è quella di tanti adolescenti e giovani sempre più spesso portati a isolarsi, a chiudersi nel mondo dei social network, da non demonizzare in assoluto, a cui tuttavia far corrispondere la ripresa di contat- ti umani, in cui la fisicità, il rapporto reale nella quotidianità del vivere manten- ga un suo spazio significativo e gratificante, così come la comunicazione verbale e scritta, il dialogo ampio, senza il costante ricorso a una sorta di linguaggio cifrato, di un codice fatto di abbreviazioni oppure di esclamazioni onomato- peiche (Boccia Artieri 2015)! Il mondo giovanile esce, poi, da lunghi periodi di didattica a distanza o comunque integrata, che ha risolto temporaneamente il problema di una impossibile frequenza scolastica per la pandemia da Covid19, ma con l’esito inevitabile di un ulteriore rafforzamento della comunicazione digitale e della solitudine.
C'è dunque ancora maggiore bisogno di una scuola che sappia ascoltare e conoscere, non immediatamente disposta ad adeguarsi a logiche di tipo azien- dale, a partire dall’utilizzo di un lessico preciso: non più il Preside, ma il Diri- gente scolastico con lo staff da lui scelto, responsabile unico dei risultati di una scuola chiamata a effettuare una rendicontazione sociale ai propri stakeholders, i portatori di interesse, a utilizzare il RAV, il Rapporto di autovalutazione di Isti- tuto, sulla cui base definire il Piano di miglioramento, chiamata a certificare le competenze®, talvolta ridotte a prestazioni, capace di rispondere alle richieste del mercato, a una professionalizzazione che potrà invece collocarsi dopo il diploma. Può darsi che NI vocabolario non corrisponda alla realtà, ma rimane l’esigenza di una scuola in cui si voglia imparare a vivere (“mestiere” molto difficile, come sosteneva Cesare Pavese!) luogo di apprendimento serio, rigoroso, che si realizza
°. Il MIUR interviene con Nota n.2519 del 15/04/2015, Linee di orientamento per azioni di pre- venzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo ; il Parlamento con Legge 71/2017, Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo.
© Il Dlgs 13/2013 ha istituito il Sistema nazionale di certificazione delle competenze, che è ora regolato dal Dlgs 62/2017, Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze.
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tra pari in forme di cooperazione, di discussione, di studio, ma sempre in dialo- go degli studenti tra loro e con gli insegnanti, in una sorta di alleanza educativa con le famiglie, non interessate soltanto alla promozione dei figli o a colpevoliz- zare spesso i docenti, ma attente alla loro educazione come persone e cittadini consapevoli, pronti a mettersi in gioco anche quando sembrano essere poche le speranze in un mondo complesso, tuttavia sfidante e comunque dotato di poten- zialità da scoprire. Occorre per questo dotarsi di una formazione di base sicura, ben fondata, uscire dall’apatia o dalla rinuncia anche in virtù di una scuola in cui sperimentare il piacere della scoperta, della ricerca di risposte ai propri interro- gativi, in cui conoscere e conoscersi, stare insieme nel rispetto delle regole della convivenza, una scuola che faciliti momenti di studio e di aggregazione, aperta per molte ore, ben al di là dell'orario delle lezioni, con un'offerta formativa che aiuti a coltivare interessi, a interagire con gli altri senza bisogno di trasgressioni, di eccessi, di “sballi”, un vero antidoto alla noia, alla mancanza di prospettive. Non un'utopia, al contrario l'impegno improrogabile da parte dei vari Governi a credere nella scuola, finanziandola e non assoggettandola a “tagli” mortificanti, perché convinti assertori della promozione della cultura, del valore della profes- sione docente, ora assai dequalificata, in realtà un potenziale umano competente, da non confinare in un eccesso di adempimenti burocratici, da rimotivare per- fino sul piano sociale oltre che economico, da far lavorare insieme ai giovani in edifici scolastici sicuri, attrezzati, in cui si fa cultura, si educa, si assicurano agli studenti competenze importanti non necessariamente assoggettate alla logica e ai valori dell’impresa quanto piuttosto a quelli della persona. Il lavoro è senza dub- bio una dimensione dell’esistenza, particolarmente necessario e importante, ma
li studenti, in quanto persone in crescita, sono chiamati a sviluppare in primo iu una propria personalità, individuale e sociale e, attraverso le conoscenze acquisite, un pensiero su se stessi e sul mondo. Potranno così svolgere un ruolo attivo e consapevole, ma anche una funzione di utilità sociale attraverso il lavoro e la partecipazione alla vita collettiva.
La du italiana, nel tempo, ha sempre dato alte garanzie di educazione e formazione, qualità da saper mantenere col supporto di tutte le Istituzioni inte- ressate al problema educativo, senza chiudersi nell’arido campo delle prestazioni, da valutare con altrettanto aride prove di verifica, necessarie, ma nel più ampio quadro di una valutazione che sia davvero formativa, perché l'insegnante sappia aiutare lo studente a comprendere i propri punti di forza, ma anche quelli di debolezza per migliorare, nel contesto più ampio, però, di un dialogo educativo aperto e critico che non può essere prevalentemente ricondotto a un apparato di schede, griglie, formule standardizzate.
Tanti sono i successi da riconoscere nel processo di inclusione degli studenti, a partire da quanto si è fatto per gli quelli con disabilità, anche gravi, perché non sperimentassero il senso dell’esclusione’”, ma potessero vivere la scuola come
7. Dopo la Legge 517/1977 che promuove l’inserimento della persona con disabilità nella scuola
comune, viene varata la Legge-quadro 104/1992 per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Successivamente non ci si limita più al termine “integrazione” optando per quello di “inclusione”: Dlgs 66/2017, Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disa- bilità, modificato nel 2019 con Disposizioni integrative e correttive.
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spazio a loro misura, pur nelle tante difficoltà tuttora esistenti legate a classi trop- po numerose, a insegnanti di sostegno privi della necessaria specializzazione, ma nell'impegno con cui comunque si prodigano, quelli nominati, per assicurare percorsi di apprendimento-insegnamento responsabilmente costruiti insieme al gruppo docente della classe e agli esperti dell’Asl. Si è poi definito, con Direttiva 12 dicembre 2012, il quadro dei Bisogni educativi speciali (Bes) nel lodevole intento di aiutare tutti gli alunni con particolari difficoltà attraverso un Piano didattico personalizzato”, magari temporaneo, ma il rischio è quello di “accon- tentarsi” di “prestazioni” e risultati inferiori a quelli che si potrebbero realmente ottenere. Le scuole, poi, si adoperano a fondo per aiutare gli alunni immigrati”, di varia nazionalità e provenienza etnica, a dotarsi molto presto della padronan- za della lingua italiana, nel pieno rispetto di quella di origine, con laboratori di italiano lingua due, biblioteche multietniche, Progetti accoglienza anche nei con- fronti delle famiglie, ma assistiamo al triste fenomeno di quelle che, con brutto termine, sono definite “classi pollaio” e magari i pochi studenti di origine italiana, in queste presenti, sono essi per primi a non essere efficacemente inclusi! Molti altri potrebbero essere i pregi e i limiti riscontrabili nell’attuale sistema scolastico italiano, ma le riflessioni da fare rimangono quelle di fondo. Siamo sicuri che la scuola delle competenze riesca veramente a educare nel senso etimologico della parola e non soltanto? La risposta va cercata in ogni sede, senza formule scontate o ideologicamente preconcette, al contrario nell’autenticità del dialogo, del con- fronto in sede pedagogica e istituzionale, nell'intera collettività, a vantaggio della crescita umana dei giovani e della società in cui ci è dato di vivere.
8. Direttiva Ministeriale 27/12/2012, Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi
speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica, seguito dalla Circolare Ministeriale attuati- va n.8 del 2013.
° Nel 2006 sono state emanate Linee Guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranie- ri, aggiornate nel 2014. Ci si è infine preoccupati di tutelare i minori non accompagnati con Legge 47/2017, Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.
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La Tapisserie de Bayeux e l'apporto alla conoscenza della Storia dell’architettura militare dell'XI secolo
GIOVANNI COPPOLA
Una delle storie di guerra più avvincenti dell’ Europa dei primi due secoli dopo l’anno Mille fu senza dubbio quella dei Normanni!. I diversi e complicati scena- ri bellici europei e mediterranei favorirono un fecondo scambio di conoscenze, soprattutto nel campo degli armamenti”. Tra le tante battaglie, un'importante testimonianza iconografica del periodo, le cui scene sono riprodotte in migliaia di libri di storia medievale, presenta con illustrazioni ad effetto le gesta della conqui- sta dell'Inghilterra, da parte di Guglielmo il Bastardo e la disfatta dell’usurpatore al trono Aroldo di Godwinsonî.
In una mattina del 14 ottobre 1066 ai piedi della collina di Senlac, a qualche chilometro dal porto di Hastings, alla presenza di circa 20.000 uomini armati con i due eserciti pronti allo scontro, Ciichio il Conquistatore interrogò lo sguar- do dei suoi fratelli, Odo e Roberto, rispettivamente, vescovo di Bayeux e conte di Mortagne, principali sostenitori della spedizione. Al loro assenso col capo, Guglielmo prese tra le mani con forza il manico del suo bastone di comando e dopo averlo alzato affinché tutti potessero vederlo lo abbassò repentinamente, era il segnale. Le trombe suonarono, il fragore insostenibile della battaglia echeg-
iò nella valle, si elevarono grida da un campo all’altro, i Normanni invocarono ”’Aiuto di Dio”, i Sassoni di rimando replicarono con durezza “Fuori Fuori” al quale aggiunsero imprecazioni del tipo “Dio potentissimo” oppure “Santa Cro- ce”; le spade risuonarono contro gli scudi, gli arcieri normanni avanzarono con
! G. Iheotokis, Warfare in the Norman Mediterranean. Woodbridge, The Boydell Press, 2020; G.
Coppola, Battaglie normanne di terra e di mare. Italia meridionale, secoli XI-XII, Napoli, Liguori, 2015; D. Hill, Zhe Norman Commanders. Masters of Warfare, 911-1135. Barnsley, Pen and Sword, 2015; E Neveux, L'aventure des Normands, VIIEe-XIMe siècle, Paris, Perrin, 2006; M. Chibnall, / Normanni. Da guerrieri a dominatori. Genova, ECIG, 2005; R. Allen Brown, 7he Norman Conquest of England: Sources and Documents. Woodbridge, The Boydell Press, 1995; S. Morillo, Warfare under Anglo-Norman Kings 1066-1135. Woodbridge, The Boydell Press, 1994; M. Strickland, edited by, Arglo-Norman Warfare. Woodbridge, The Boydell Press, 1992. 2 G. Coppola, / Normanni in battaglia: fionde, granate, triboli, mazze e altri mezzi, Nuova An- tologia Militare», 3/9 (2022), pp. 127-143; G. Coppola, L'equipaggiamento militare normanno tra fonti scritte, archeologiche e iconografiche (secoli XI-XII), «Napoli Nobilissima», 7/VII.3 (2021), pp. 4-20; G. Amatuccio, Aspetti dell'interscambio di tecnologia militare nel Mezzogiorno normanno-svevo, in Cultura cittadina e documentazione. Formazione e circolazione di modelli, Bologna 2009, pp. 301-309.
3. X. Barrali Altet, D. Bates, La Tapisserie de Bayeux: commentaires, Paris, Citadelles et Mazenod, 2020; P. Bouet, B. Levy, E Neveux, sous la direction de, La Tapisserie de Bayeux: l’art de broder l’Histoire. Actes du colloque de Cerisy-la-Salle (octobre 1999), Caen, Presses universitaires de Caen, 2004; L. Musset, La Tapisserie de Bayeux. Paris, Zodiaque, 2002.
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Giovanni Coppola
passo sicuro, gli scudi sassoni fecero muro, i cavalli a centinaia nitrirono sonora- mente scuotendo la testa, i due comandanti Guglielmo e Aroldo erano certi che il tributo di sangue potesse risultare per entrambi elevato, a sera si conteranno i morti, saranno migliaia e migliaia. AI tramonto, Guglielmo, risulterà il vincitore assoluto, ormai non era più Guglielmo il Bastardo ma era diventato per tutta l'Europa, Guglielmo il Conquistatore!.
Scopo della narrazione dell'intera tela di Bayeux è quello di mostrare, con vivide illustrazioni, la brutalità del combattimento armato tra Sassoni e Nor- manni e, allo stesso tempo, illustrare l'impresa di Guglielmo il Conquistatore e la conquista dell'Inghilterra come conseguenza tragica del mancato rispetto del giuramento fatto da Harold di Godwinson alle sacre reliquie’. AI di là dell'uso ideologico e narrativo degli elementi presenti nel lessico di base del capolavoro artistico, risalta con estrema chiarezza lo stretto rapporto che intercorre tra l’im- magine e le diverse tipologie fortificate offrendoci una importante chiave di lettu- ra sull’architettura militare dell’Europa occidentale nell'XI secolo’. Da un'attenta analisi dei disegni stilizzati appare evidente che gli ideatori dell’opera, erano senza dubbio al corrente del paesaggio monumentale in cui si svolsero i fatti e, di con- seguenza, permettono di individuare precisi modelli di architetture difensive’. L'impressione che si ricava è che le fortificazioni siano in realtà una ricostruzione fedele, anche se ovviamente stilizzata, in grado di lanciare messaggi di grande potenza comunicativa grazie all’ancoraggio di immagini chiave (schlagbilder) che diventano i simboli su cui si basa l’azione militare®. Tuttavia, in questo contesto, non si può trascurare il problema dell’autenticità o meno delle rappresentazioni
4 Tra le numerose opere che si sono occupate della biografia di Guglielmo il Conquistatore
si consulti: D. Bates, Guillaume le Conquérant, Paris, Flammarion, 2019; M. de Boiiard, Guglielmo il Conquistatore, Roma, Editore Salerno, 1989. Sulla battaglia di Hastings: P. Bouet, Hastings. Paris, Tallandier, 2010, pp. 117-151; J. Badbury, Ze Battle of Hastings, Stroud, Sutton Publishing. 1998, pp. 121-154.
°. G. Amatuccio, Aspetti dell'interscambio..., cit., pp. 301-309; I. Walker, Harold: The Last An- glo-Saxon King. Stroud, Tempus, 1997; M. Strickland, Military technology and conquest: the anomaly of Anglo-Saxon England, «Anglo-Norman Studies», XIX (1996), pp. 353-382; K.R. De Vrye, Medieval Military Technology, Peterborough 1992.
6 A. Lester-Makin, Les six chdteaux de la Tapisserie de Bayeux, in L'invention de la Tapisserie de Bayeux: naissance, composition et style d'un chef-d'euvre médiéval, edited by, S. Lemagnen, S.A. Brown, G. Owen-Crocker, Actes du colloque de Bayeux, 22-25 septembre 2016, Rouen, Editions Point de vues, 2018, pp. 73-91; P. Bouet, Chdteaux et résidences princières dans la Tapisserie de Bayeux, in Castles and Anglo-Norman World, edited by, J. Davies, et alii, Oxford&Philadelphia, Oxbow Books, 2016, pp. 135- 146; A.-M. Flambard-Héricher, La Tapisserie de Bayeux et l'archéologie, in La Tapisserie de Bayeux: l'art de broder l’Histoire, edited by, P. Bouet, B. Levy, E Neveux, Actes du colloque de Cerisy-la-Salle (octobre 1999). Caen, Presses universitaires de Caen, 2004, pp. 261-288; Id., Quelques réflexions sur le mode de construction des mottes en Normandie et sur ses marges, in Mélanges Pierre Bouet, «Cahier des Annales de Normandie», 32 (2002), pp. 123-132; D. Alexandre-Bidon, Vrais ou faux? L'apport de l'iconographie à l'étude des chàteaux médiévaux, in Le Chàteau médiéval, forteresse habitée (XIe-XVIe siècle), sous la direc- tion de, J.-M. Poisson, Paris, Éditions de la Maison des sciences de l'homme, 1992, pp. 43-55.
7. D. Alexandre-Bidon, A /a conquéte du 9e art: la Tapisserie de Bayeux, in Le Moyen Age en bande dessinée, sous la direction de M. Tristan, Paris Karthala, 2016, pp. 163-180.
8 L. Musset, La Tapisserie..., cit, scene 38-40, pp. 196-207; scene 50-51, pp. 228-237; scene 57-58, pp. 256-267.
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tratte dal ricco repertorio di monumenti, che ha portato alla formulazione delle tesi più disparate da parte degli specialisti della civiltà normanna?. La difficoltà maggiore risiede nella mancanza di prove materiali che permettano di stabilire un confronto diretto tra gli edifici realmente esistiti e le fortezze disegnate, al fine di attribuire una certa veridicità alle rappresentazioni sulla base di considerazioni generali derivate da scavi archeologici su analoghi manufatti. Dal momento che i disegni delle cinque motte sono stati eseguiti in modo diverso, sembra ragionevo- le supporre che l’ideatore-cartonista fosse consapevole che ciascuna motta avesse una sua intrinseca originalità e quindi non fosse il frutto di una raffigurazione fantasiosa.
Gli eventi storici raccontati come in una sequenza cinematografica, ridise- gnano i quadri politici della successione al trono di Edoardo il Confessore in un'epoca in cui la nobiltà in ascesa misurava il proprio potere con l’azione armata e il dominio delle armi. Dopo la guerra, l'architettura era il livello successivo, il simbolo evidente e tangibile del potere feudale, la testimonianza materiale del controllo del territorio, il mantenimento della conquista.
Un'analisi attenta degli elementi architettonici che compongono i monumen- ti raffigurati sulla Zapisserie (castelli, sale cerimoniali, chiese, padiglioni, torri, palazzi e case rurali), non può non rivelare la stretta analogia con le convenzioni iconografiche dell’epoca, di cui esistono numerosi esempi sia nella scultura e sia nelle illustrazioni di alcuni codici miniati anglosassoni; per la tela di Bayeux, i modelli sono principalmente quelli copiati nel Kent, a Canterbury o a Winche- ster, molto probabilmente uno dei luoghi di origine in cui sarebbe stata realizzata l’opera!°.
La copiosa documentazione iconografica presente sulla celebre Tapisserie de Bayeux (1066-1070), riproduce una trentina di monumenti e ben 79 individui armati fino ai denti, che permettono di avere una precisa visione d'insieme del paesaggio monumentale presentando un’ampia casistica di esempi"!. La 7apisse- rie, in realtà sarebbe più corretto definirla un ricamo (Broderie), ha un'insolita dimensione: mezzo metro di altezza e settanta metri di lunghezza. Tra le varie architetture disegnate nella prima parte della tela figurano cinque castelli a motta Dinan, Dol, Rennes, Bayeux, Hastings e un castello urbano, Rouen, a dimostra- zione dell'uso delle due diverse tipologie difensive d’epoca normanna, motta in terra e in legno e dongione in pietra".
È difficile stimare con precisione il numero totale di castelli, di qualsiasi tipo, costruiti durante il regno del Conquistatore (1066-1086). E però innegabile che
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S. Lewis, Zbe Rhetoric of Power in the Bayeux Tapestry, Cambridge, Cambridge University Press, 1999; R.C. Cholakian, Zhe Bayeux Tapestry and Ethos of War. Delmar (NY), Caravan Books, 1998.
°° H.B. Clarke, Zhe Identity of the Designer of the Bayeux Tapestry, «Anglo-Norman Studies», 35 (2013), 119-139; L. Musset, La Tapisserie..., cit., pp. 14-17; M. Lewis, he Bayeux Tapestry and Oxford Bodleian Junius 11, in The Bayeux Tapestry. New Approaches, edited by, M.J. Lewis, G.R. Owen-Crocker, Oxford, Oxbow Books, 2011, pp. 105-111; C. Hart, Ze Bayeux Tapestry and schools of illumination at Canterbury, «Anglo-Norman Studies», 22 (2000), pp. 117-167.
!! P. Bouet, Chateaux et résidences princières..., cit., pp. 135-146; P. Bouet, B. Levy, E Neveux, 2004, sous la direction de, La Tapisserie de Bayeux..., cit., pp. 17-64.
L. Musset, La Tapisserie..., cit., scena 12, pp. 118-119; scene, 17-20, pp. 134-141; scene 22- 23; pp. 144-145; scene 45-46, pp. 214-217.
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in Inghilterra, il periodo più importante per la loro costruzione, rilevante ai fini del presente studio, coincida proprio con la conquista da parte dei Normanni. Il Domesday Book menziona circa 50 manufatti nel 1086. Estendendo la ricerca alle indagini archeologiche condotte in Inghilterra, risultano edificate prima del- la fine dell’XI secolo circa 90 motte!?. Aggiungendo anche un certo numero di dongioni in pietra, di cui la gran parte eretti nei centri urbani, il totale di motte e di semplici recinti fortificati, ammonta a ben 625, la maggior parte dei quali sono concentrati in aree strategiche. In Normandia, indagini e prospezioni sul terreno hanno portato Joseph Decaéns a ipotizzare che nella totalità le motte potessero superare le mille unità!*. Una cifra così alta di manufatti, in Normandia come in Inghilterra, va considerata anche in virtù del frequente riutilizzo di torri, mura e complessi fortificati preesistenti. E per questo motivo che i siti castrali della seconda metà dell'XI secolo, essendo così numerosi, presentano una tale ricchezza di dettagli da richiedere un ulteriore sforzo interpretativo, anche alla luce di nuove e rinnovate ricerche iconografiche che si affiancano alle informa- zioni provenienti dall’archeologia medievale europea. Nuovi studi sempre più specifici e attenti si affacciano nel già vasto orizzonte bibliografico inerente la Broderie de Bayeux. Ad esempio, sulla scorta delle tecniche strettamente legate al ricamo, Lester-Makin ha svolto uno studio approfondito e ha chiarito le moda- lità relative alla sua realizzazione materiale, rilevando tre gruppi di disegni in cui appaiono i cinque castelli!°. Basandosi sull'esecuzione dei vari punti del ricamo, al primo gruppo appartiene il disegno del castello di Rouen (scena 12), con la scritta: Hic venit nuntius ad Wilgelmum ducem (Qui un messaggero si reca presso il duca Guglielmo). Al secondo gruppo sono da collocare le quattro motte di cui le prime tre figurano alle scene 18-19 e 22. La prima illustrazione mostra la motta di Dol (scena 18), e la motta di Rennes (18-19), con la didascalia: Et venerunt ad Dol et Conan fuga vertit. Rednes (E vennero a Dol e Conan fu posto in fuga. Rennes); la seconda illustrazione (scena 19) quella di Dinan con la scritta: Hic milites Willelmi ducis pugnant contra Dinantes (Qui i soldati del duca Guglielmo combattono contro Dinan); inoltre, la terza illustrazione (scena 22) mostra la motta di Bayeux: Hic Willelmi venit Bagias (Qui Guglielmo venne a Bayeux). L'ultima motta, Hastings (scena 45), è la sola che si trova situata in Inghilterra. Sullo sfondo appare la scritta: Iste iussit ut foderetur castellum ad Hestenga caestra (Questi [Guglielmo] ordina di edificare una fortificazione davanti all’accampa- mento di Hastings).
Ma ciò che più interessa in questo saggio è cogliere la differenza tra le diver-
15. D.E Renn, Ze first Norman Castles in England, 1051-1071, «Chàteau Gaillard», I (1962), pp. 127-132.
44 J. Decaéns, Enceintes et mottes, in L'architecture normande au Moyen Age, 2, Regards sur l'art de bàtir, sous la direction de, M. Baylé, Actes du colloque de Cerisy-la-Salle, 28 sept.-2 oct. 1994, Caen, Editions Charles Corlet, 1997, p. 273.
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6 B. English, 70wns, Mottes and Ring-works of the Conquest, in The Medieval Military Revolution, edited by, A. Ayton, J.L. Price, London, Tauris, 1995, pp. 45-62.
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se tipologie architettoniche disegnate piuttosto che evidenziare le procedure di esecuzione dei ricami. Infatti, se consideriamo il primo degli esempi di architet- tura difensiva rappresentato dal castello di Guglielmo a Rouen (scena 12), non possiamo che registrare la ricchezza degli elementi compositivi della facciata del recinto monumentale con le due torri poste ai rispettivi angoli (quadriburgium). All’interno si scorge in profondità un dongione molto decorato, anch'esso di probabile impianto quadrangolare. La copertura si ispira a precedenti tradizioni iconografiche, come il tetto del chiosco della scena 11, riprodotta in seguito con qualche piccola variante. In realtà, tale copertura a cupola rivestita con un manto di coppi non è altro che la copia fedele di un disegno del Salterio di Utrecht (820 circa)! le cui illustrazioni si ritrovano identiche in un successivo manoscritto de- nominato Salterio di Harley della prima metà dell'XI secolo!*. La rappresentazio- ne grafica della residenza fortificata di Guglielmo a Rouen occupa tutto lo spazio della fascia centrale e simbolizza il palazzo ducale edificato dal duca Riccardo II (996-1026), originariamente situato sulla riva della Senna, in seguito demolito da Filippo Augusto nel 1203, un anno prima che la Normandia fosse annessa ai domini della corona francese!?.
A parte i minuziosi riferimenti iconografici, che pure contano, non si vuole qui sostenere la tesi che le raffigurazioni corrispondano esattamente ai manufatti del tempo, anche perché un confronto non sarebbe possibile dal momento che tutti i monumenti sono ormai inesistenti, ma piuttosto dimostrare che la mag- gior parte degli elementi che compongono le architetture disegnate sono confer- mati dai dati provenienti dai risultati degli scavi archeologici.
Pertanto, per comprendere appieno il loro significato, è necessario analizzare alcuni aspetti fondamentali: la configurazione strutturale delle motte, l’assem- blaggio della carpenteria lignea della torre, il disegno planimetrico dei fossati, il profilo delle scarpe dei tumuli e il relativo trattamento della parte superficiale del terreno, i ponti lignei, le palizzate, l’ubicazione e la forma delle porte?°. La capacità dell’osservazione dei disegnatori delle scene permette di attribuire signi- ficati e valori diversi ad ogni singola composizione L predispongono in base al contesto in modo da creare un clima di guerra il più veritiero possibile: i com- portamenti dei condottieri, il rapporto di forza tra i due opposti schieramenti, la cavalleria, la fanteria, gli arcieri, gli armamenti e i finimenti dei cavalli disegnati in ogni particolare, i modelli di architetture scelte per rappresentare le fortifica- zioni di terra e di pietra, le chiese, le torri, i palazzi e le case dei contadini.
Da studi archeologici e architettonici ormai consolidati, sappiamo che il castello in terra battuta prevedeva la costruzione di un piccolo monticello di terra (motta), con una superficie inferiore molto più ampia di quella superiore. Quest'ultima, appositamente spianata, veniva livellata con uno strato di pietre incerte di piccola taglia. La torretta lignea posta nella parte centrale della superficie superiore era so-
Utrecht, Universiteitsbibliotheek, Ms. 32, fol. 1v, 7v, 30v.
18. London, British Library, Harley Ms. 603, fol. lv, 7v, 6Gv.
9. P. Bouet, Chateaux et résidences princières..., cit., pp. 137-138, pp. 141-142; C. Hart, Zhe Bayeux Tapestry..., cit., p. 136.
20 E. Impey, Une image sur pierre d'un chàteau en bois: un graffiti médiéval au chéteau de Caen, «Archéologie médiévale», 51 (2021), pp. 55-68.
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stenuta da vari montanti che talvolta venivano interrati in verticale per diversi metri e collegati tra loro per ragioni di stabilità, ad un’armatura costituita da elementi orizzontali di ul sezione in modo da assicurare non solo l’intera struttura ma anche il terreno di riporto, come dimostrano gli scavi condotti in Inghilterra ad Abinger nel Surrey e in Francia a Mérey nell’Eure?!.
A seconda della natura del sito, il monticello poteva apparire naturale (col- linetta di terreno), parzialmente naturale (roccia colmata da terreno) o comple- tamente artificiale (tumulo di terreno di riporto). I castelli di terra avevano un diametro compreso tra i dieci e i cinquanta metri e un'altezza che variava da un minimo di pochi metri a un massimo di quindici metri. Qualunque fosse la loro dimensione, in cima o alla base, le motte erano accomunate dagli stessi elementi architettonici edificati secondo modalità e tecniche costruttive identiche??. In ge- nere, il tumulo di terra naturale o prodotto con materiali di riporto (mota, agger, tumulus), costituiva la struttura di base dell’insediamento fortificato: solitamente difeso da una palizzata lignea sulla parte alta (saepe, hériceon, palicium, curtis lignea, vallum) composta da pali di legno appuntiti (pali quadrangulati et vepres pungentes), accostati e conficcati nel terreno a protezione della piccola torretta di legno (turris lignea) eretta in cima alla collina. L'accesso che permetteva di superare il didivello creato tra la collina artificiale e la sua base, era assicurato da un ponte ligneo supportato da robusti pilastri (motta di Dol), simile a quello che esisteva sui fianchi della motta di Olivet a Grimbosq nel Calvados??. Talvolta le scale lignee erano ricavate all’interno della scarpa del rilevato del terreno (motta di Rennes)‘. Ai piedi della collinetta, un fossato (fossa), o addirittura due (duplex fossa), correva lungo la base al fine di evitare l'avvicinamento delle macchine bel- liche ed era spesso delimitato da una cortina difesa da un'ulteriore palizzata che racchiudeva un ampio cortile (ba/lium). Sappiamo dall’archeologia che gli spazi posti alla base del tumulo erano affollati da costruzioni: alloggi, magazzini per le scorte, stalle e cucine, forge e altri servizi necessari alla vita dei militari di stanza alla motta??. La bassa corte era difesa da terrapieni e da un profondo fossato con controscarpa.
L'esigenza di costruire un gran numero di castelli nel più breve tempo possi- bile nacque dalla disintegrazione delle entità urbane poste in pianura e, quindi, dalla conseguente creazione di numerose e nuove circoscrizioni territoriali che bisognava difendere e controllare?°. Nel contesto di una campagna militare sotto la pressione in un Paese ostile, la velocità con la quale furono edificate le motte non sorprende. Infatti, subito dopo lo sbarco, in finibus Hastingi, nell’ottobre del 1066 Guglielmo diede immediatamente l’ordine di costruire in poco tempo
2! A.-M. Flambard-Héricher, Quelques réflexions..., cit., p. 132; B. Hope Taylor, Zhe Norman motte at Abinger (Surrey) and his Wooden Castle, in Recent Archaeological Excavations in Britain, edited by, R.L.S. Bruce-Mitford, London, Routledge et Kegan Paul, 1956, pp. 223-249.
22 A.-M. Flambard-Héricher, Quelques réflexions..., cit., pp. 123-132.
23. J Decaèns, La motte d’Olivet à Grimbosq (Calvados), résidence seigneuriale du XF siècle, «Ar- chéologie Mediévale», XI (1981), pp. 167-201.
2 G. Coppola, Ponti medievali in legno. Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 5-69.
2 R.A. Higham, R. Barker, Timber Castles, London, Batsford, 1992, pp. 326-347.
26. Guillaume de Jumièges, Gesta Normannorum Ducum, editeur J. Marx, Rouen, A. Lestringant,
1914, p. 134.
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un castello di legno: ligneum agiliter castellum statuens, provide munivit?. La loro costruzione era posta sotto il diretto controllo del re e dei suoi più fidati vassalli, quasi sempre appartenenti alla famiglia reale (familia regis)?*. La valenza di que- sto tipo di fortificazione è duplice: da un lato, possedeva uno spiccato carattere militare, testimoniato dall’elevazione della piattaforma della motta, dalla profon- dità dei fossati e dalla scelta di siti in posizione strategica; dall’altro, assumeva anche una funzione di residenza signorile. Non di rado, infatti, in seguito a scavi archeologici, sono stati rinvenuti reperti attinenti alla vita quotidiana oltre che alla guerra: frammenti di ceramica da cucina, pedine da gioco, punte di frecce, quadrelle di balestra o ferri di cavallo, restituiscono informazioni anche sul gene- re di vita e dell’insediamento fortificato”. Semplice da costruire e poco costoso, l'impianto a motta, già presente nei paesi del Nord Europa prima dell’XI seco- lo, si diffuse rapidamente a partire dalla Francia nord-occidentale all’Inghilterra conquistata e ad altri paesi”. Non c'è dubbio che nel Mezzogiorno tale partico- lare struttura difensiva apparve, nella prima metà dell'XI secolo, con l’arrivo dei primi contingenti normanni (Supersano - fr. di Specchia Torricella, Troia - fr. di Vaccarizza, Tertiveri, Montecorvino, Fiorentino (Puglia), San Marco Argentano, Scribla (Calabria) e, in Abruzzo, a Ocre e a Cesura)?.
Dalla Broderie ciò che appare subito evidente nell'impianto generale della motta è la totale assenza della bassa corte, situata alla base del du e a difesa di un fossato. Questa vistosa mancanza è forse dovuta allo spazio limitato a disposi- zione dei disegnatori. Oppure, più semplicemente, la mancanza del cortile infe- riore è da attribuire all’uso simbolico che il fortilizio di terra doveva rappresentare nella fase finale di determinati eventi, per Dol la fuga e per Dinan l’incendio della struttura lignea.
Oggi sappiamo con certezza che gran parte della motta era costruita in legno. o e è proprio per questo motivo che il duca Guglielmo fece in modo che l’intero assemblaggio ligneo fosse portato direttamente dalla Normandia. Si trattava di un vero e proprio esempio di prefabbricazione basato sulla preparazio- ne dei vari elementi che compongono la struttura di una fortificazione a motta,
27 E. Searle, Zhe Chronicle of Battle Abbey. Oxford, Oxford University Press, 1980, pp. 34-35.
28. S. Morillo, Warfare under Anglo-Norman..., cit., pp. 60-66; O.J. Prestwich, Military Household of the Norman Kings, «English Historical Review», XLVI (1981), pp. 1-35.
2° J-J. Bertaux, J.-Y., Marin, sous la direction de, Les chéteaux normands de Guillaume le Conque- rant à Richard Coeur de Lion, Catalogue de l’exposition, Eglise Saint-Georges du Chateau, 15 mai-31 aout 1987, Caen, Musée de Normandie, 1987, pp. 32-53; P. Halbout, C. Pilet, C. Vaudour, sous la direction de, Corpus des objets domestiques et des armes de fer de Normandie du Ier au XVe siècle, «Annales de Nor- mandie», 20 (1987), pp. 173-239.
30. J. Decaéns, De la motte au chàteau de pierre dans le Nord-Quest de la France, in Manorial Domes- tic Buildings in England and Northern France, edited by, M. Jones, G.I. Meirion-Jones, London, Society of Antiquaries, 1994, pp. 65-81; R.A. Higham, P. Barker, Timber Castles. .., cit, pp. 36-113.
31 E Redi A. Forgione, Due ‘motte” normanne in territorio aquilano: i castelli di Ocre e di Cesura. Motte di terra, motte di roccia, «Archeologia Medievale», XLII (2015), pp. 182-197; A.A. Settia, L. Marasco, F. Saggioro, a cura di, Fortificazioni di terra in Italia. Motte, tumuli, tumbe, recinti. Atti del Convegno di Scarlino, 14-16 aprile 2011, «Archeologia Medievale», XL (2013), pp. 9-187; E. Cirelli, G. Noyé, La motta di Vaccarizza e le prime fortificazioni normanne della Capitanata, «Archeologia medie- vale», XL (2013), pp. 69-90; A.-M. Flambard-Héricher, Scribla: la fin d'un chàteau d'origine normande en Calabre, 421, Rome, École francaise de Rome, 2010, pp. 51-140.
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lavorati in un luogo diverso da quello finale e poi trasportati e messi in opera. In realtà, l'innovazione introdotta dal duca Guglielmo prima dell’attacco all’Inghil- terra non era altro che la definizione di un processo tecnologico che scomponeva l’edificio nei suoi vari elementi strutturali, ottenuti separatamente nei cantieri navali normanni, situati nei pressi dei porti più importanti al momento dell’alle- stimento della flotta.
Alla Bodleian Library, in una copia di un documento del XII secolo provenien- te dall’abbazia di Battle, redatto tra il 1130 e il 1160”, troviamo alcune pagine che riassumono gli accordi presi tra il duca Guglielmo di Normandia e i suo potente vassallo prima dell’invasione dell’Inghilterra, con i nomi esatti di co- loro che dovevano fornire le navi necessarie. Per l'operazione navale nella Manica furono requisiti anche piccoli pescherecci e navi mercantili per trasportare via mare tutti i rifornimenti necessari, cavalli, armature, oltre all’equipaggiamento da campo formato per lo più da tende, compreso l’intero assemblaggio prefab- bricato in legno per costruire i primi castelli sulla costa meridionale, a Pevensey, Hastings e Dover.
La Normandia, ricca di foreste di querce e faggi, forniva tutto il legname ne- cessario e si è calcolato che circa 7.000 alberi dovettero essere tagliati e trasportati sulla costa?*. Gillmor ha calcolato che il 41% delle foreste lungo la Senna fossero state decimate per fornire il legname necessario alle navi messe a disposizione dai tre principali vassalli di Guglielmo”. Sebbene Wace scriva un secolo dopo la battaglia, le frenetiche attività dei cantieri navali si riflettono accuratamente nella sua dettagliata descrizione: “Il duca mandò a chiamare fabbri e carpentieri; li avreste visti con grande diligenza in tutti i porti della Normandia a trasportare assi e barili, a fare pioli e a rifinire assi, a sartoriare navi e scialuppe, a tendere vele e a issare alberi”3°.
La professionalità scientifico-tecnologica era un sapere legato alle maestranze locali che lavoravano soprattutto nei cantieri delle città portuali normanne vicino ai quali si trovavano le banchine con pontili che facilitavano l'approdo per l’ap- provvigionamento di materie prime”.
Ma per costruire uno o più fortilizi sul suolo inglese, era essenziale conoscere non solo la tecnologia da adottare per l'assemblaggio ligneo del castello, ma so- prattutto avere una buona conoscenza della Re del terreno su cui edifi- carlo. Esempi di questa pratica si trovano nella costruzione della motta di Aumer- val (Fiandre), dove vennero costruite difese prefabbricate (bellica a egiaala compresa una grande torre. In seguito, la stessa torre e le altre difese in legno furono smontate in poco tempo**. Dopo il montaggio, alcuni elementi prefab-
8... Oxford, Ms. E. Museum, 93.
3. R. Allen Brown, 7he Norman Conquest... cit., pp. 65-74; E.S. Armitage, 7he Early Norman Castles of the British Isles, London, J. Murray, 1912, pp. 158-160; pp. 186-187.
3 P. Bouet, Hastings..., cit., pp. 50-51.
8... C.M. Gillmor, Naval logistics of the Cross-Channel Operation 1966, «Anglo-Norman Studies», VII (1984), pp. 105-131.
36 Wace, Roman de Rou, A. J. Holden (ed.), t. II, Paris, 1971, vv. 6332-6338, p. 120.
37. É. Ridel, Les navires de la conquéte. Cully, OREP, 2010, pp. 31-44; L. Musset, La Tapisserie..., cit. scene 34-36, pp. 182-189.
38. R.A. Higham, P. Barker, Timber Castles..., cit., p. 125.
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bricati “preassemblati al rustico”, oltre ad essere ulteriormente rifiniti, subivano un altro trattamento: per esempio venivano coperti con uno strato di intonaco a calce sulla superficie rendendoli così meno infiammabili. La testimonianza di Wace, che notoriamente scrisse una moltitudine di dettagli e aneddoti raccolti da testimoni oculari a Hastings, ci fornisce una ricostruzione precisa degli eventi immediatamente successivi allo sbarco. Wace, nel Roman de Rou riporta L notizia di un castello prefabbricato caricato su uno o più navi della flotta di Guglielmo dal conte Roberto d’Eu, il cui territorio era vicino al punto d'imbarco di Saint- Valéry-sur-Somme. Non è un caso se pochi anni dopo il 1066, il conte ottenne il fortilizio di Hastings succedendo a Unfredo di Tilleul che aveva tenuto il castello dal giorno della sua fondazione”.
Con queste parole Wace descrive la costruzione del castello di Hastings"°: «[Dopo lo sbarco] Dalle navi furono prelevati i legni (tavole e assi) e li trascinaro- no a terra, portati lì dal conte di Fu, completamente forati, ordinati e predisposti per i cavicchi e i serraggi; i picchetti delle palizzate, tutti già lavorati, furono poi trasportati in grandi botti. Cosicché, prima che fosse molto tardi, fu eretto un fortilizio, realizzato un fossato intorno ad esso e costruita una fortificazione mol- to ben protetta».
Un modo di costruire molto facile e veloce che in tempo di guerra consentiva di costruire in pochi giorni un castello di terra e legno sulla sommità del monti- cello artificiale. Nella Broderie di Bayeux, il tumulo è stato rappresentato con una forma arrotondata o, come nel caso di Rennes, con un profilo più appuntito. I fortilizi in legno hanno la forma di una semplice torre come a Dol, Hastings e Ba- yeux, oppure di una torre coperta da una cupola e protetta da una palizzata, come a Dinan e Rennes. Differenze piuttosto importanti che ci portano ad affermare che non si tratta di semplici disegni simbolici e schematici per indicare le località, peraltro segnalate dalle didascalie, ma che implicano differenze sostanziali nella tipologia impiegata e nella morfologia del luogo dove sono stati costruiti. Inoltre, il complesso monastico di Mont-Saint-Michel, pur essendo molto stilizzato e meno realista delle altre architetture, mostra comunque una buona conoscenza topografica della Bretagna, dove si svolsero gli eventi della spedizione di Gu- glielmo e ai quali partecipò anche Aroldo. La collina che domina la piana su cui sorge il complesso monastico di Mont-Saint-Michel (scena 16), infatti, chiarisce la ... tra un semplice rilievo di terreno naturale e una motta artificiale.
La collinetta erbosa, disegnata con una certa veridicità sulla Broderie, riprodu- ce l’ambiente naturale su cui sorge la chiesa di Mont-Saint-Michel, qui raffigura- ta come un piccolo reliquiario che appare in cima a un'altura rocciosa circondata dalle insidiose sabbie mobili generate dalla bassa marea. La scena 45, che evoca la costruzione della motta di Hastings, illustra in modo evidente il lavoro svolto da numerosi operai, molti dei quali assoldati dalle regioni vicine, per scavare il fossa- to e creare il conseguente terrapieno artificiale. Il disegno cerca di rappresentare il momento esatto in cui iniziarono i lavori di sbancamento per edificare una sorta di ridotta fortificata che avrebbe fornito un riparo immediato in caso di attacco a
3 .EA. Mason, The companions ofthe conqueror: an additional name, «English Historical Revue», q g!
vol. LXXI, 278 (1956), pp. 61-69. 10 Wace, Roman de Rou..., cit., Il: vv. 5507-5527, pp. 126-127.
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sorpresa da parte del nemico. Si vedono in primo piano, sotto il controllo di due capicantiere, alcuni sterratori che procedono con i lavori mediante l’ausilio di alcune pale, tre vanghe e un piccone, mentre altri operai si avvicinano per aiutarli con le pale, provviste di elementi in ferro nelle parti lavoranti (pella ferrata), e un grosso maglio ovale in legno per compattare il terreno". La suddivisione in fasce orizzontali di diverso colore utilizzata per indicare i vari strati sovrapposti della collinetta fortificata, ovvero terra mista a pietre, terriccio, argilla, gesso e sab- bia, è confermata dai risultati degli scavi archeologici che hanno spesso rivelato stratificazioni con questi falli peraltro ricorrenti nel ih inglese*?. Il rivestimento del rilievo del tumulo presenta delle differenze molto interessanti. Con ogni probabilità si trattava di artifici costruttivi messi in atto per evitare che il monticello di terra, anche se adeguatamente compattato e composto da strati di materiali diversi, potesse cedere. La collinetta della motta di Rennes è molto probabilmente pensata per essere rivestita da una serie di lastre di pietra, come è ancora oggi visibile sulla motta della fortificazione di Aleppo in Siria, e trova immediati riscontri nella motta e bassa corte di Therfield in Inghilterra".